Principi guida per una possibile politica di integrazione
sabato 17 ottobre 2009 alle ore 12.30
'E UN ARGOMENTO DIFFICILE:NON PRETENDO, a differenza di tanti, DI AVERE LA VERITA' IN TASCA: CHIEDO CRITICHE,PROPOSTE E CONFRONTO Grazie!L’Italia ha conosciuto di recente il fenomeno dell’immigrazione. Il nostro è stato un popolo che ha vissuto l’emigrazione come opzione spesso stimolata dalla necessità di trovare una soluzione alla propria condizione di indigenza e insoddisfazione sociale. Molti hanno rincorso, sopratuuto all’inizio del XX secolo il sogno americano dove la fiducia all’autorealizzazione ha magnetizzato un enorme flusso di popolazione.Da un recente contributo del sociologo americano Jeremy Rifkin (in Il Sogno Europeo, 2004) emerge il declino del “Sogno Americano”, privato dei suoi elementi originari e costitutivi, cui fa da contraltare il “Sogno Europeo” in ascesa con i suoi tratti innovativi, che presenta potenzialità in grado di ripercorrere, riadattandola, l’esperienza americana come polo di attrazione per individui animati dal desiderio di affermazione.Dice Rifkin:“Il sogno europeo pone l’accento sulle relazioni comunitarie più che sull’autonomia individuale, sulla diversità culturale più che sull’assimilazione, sulla qualità della vita più che sull’accumulazione di ricchezza, sullo sviluppo sostenibile più che sull’illimitata crescita materiale, sul “gioco profondo” più che sull’incessante fatica, sui diritti umani universali e su quelli della natura più che sull’incessante fatica, sui diritti umani universali e su quelli della natura più che sui diritti di proprietà, sulla cooperazione globale più che sull’esercizio unilaterale del potere”.L’Europa si presenta come la nuova terra delle opportunità per milioni di persone che aspirano ad inserirsi in un’area estesa in cui i rischi connessi alle opportunità di realizzazione sono mitigati, ammortizzati dagli istituti protettivi e di sostegno all’eventuale insuccesso.La scelta migratoria può avere motivazioni volontarie, indotte dall’attrazione esercitata dai paesi recettori, o imposte, originate dai paesi produttori del flusso migratorio. Entrambe le tendenze convergono delineando un ambivalente impulso declinato sia nel desiderio di opportunità ignote sia nella evasione da un ambiente ostile al quale tuttavia si appartiene.L’Italia ha una collocazione geografica che la espone agli sbarchi clandestini provenienti sia dall’Europa Orientale sia dal Nord Africa.Nell’affrontare la tematica relativa al flusso migratorio bisogna avere la consapevolezza che sono fallimentari gli approcci finalizzati al suo arresto; bisogna invece interrogarsi su iniziative di governo del fenomeno sia sotto il profilo della sicurezza, ispirato alla fermezza, sia sotto il profilo dell’opportunità, orientato alla solidarietà.La fermezza si esprime nel contrasto alla clandestinità che oltre a collocarsi nell’ambito dell’economia irregolare del lavoro nero, rappresenta fonte di inquietudine sociale per i suoi potenziali risvolti criminosi.L’opportunità di governare l’immigrazione parte dal presupposto che è sbagliato ipotizzare il blocco delle frontiere, perché la povertà dei paesi da cui si origina il flusso migratorio persisterà. Inoltre, il lavoro extracomunitario mantiene vitali determinati settori produttivi, pertanto ha una valenza economica positiva che non possiamo mortificare, ma assecondare, agevolando l’effettiva integrazione degli immigrati.L’integrazione costituisce un fattore di contenimento dei possibili focolai di rivolta sociale animati dalla discriminazione che promuove un risentimento dell’escluso.Dice Rifkin in Il Sogno Europeo:“…la discriminazione perpetua il ciclo povertà-alienazione e alimenta le fiamme della rivolta sociale, generando un circolo vizioso che non è facile spezzare. A ciò si aggiunga che spesso i i genitori immigrati non hanno la capacità di esercitare sui figli il controllo parentale che, nella comunità di origine, avrebbero esercitato tradizionalmente. L’indebolimento dell’autorità della famiglia, combinato con la povertà e con il senso di sradicamento, costituisce un potente fattore di innesco di comportamenti criminosi ed antisociali”.Come non sono tollerabili azioni discriminatorie verso coloro che intendono agire nell’ambito della legalità e inserirsi nella società ospitante, accettandone i valori comuni come esito di una sedimentazione culturale ancestrale, altrettanto intollerabili risultano forme di importazione della criminalità, che rifiutano il sistema cogente del diritto nazionale.L’invecchiamento progressivo della popolazione italiana –ed europea- e lo scarso indice di natalità, debbono imporre una politica di promozione della famiglia e della natalità.“L’età media in Europa, oggi di 37,7 anni, nel 2050 sarà di 52,3, mentre nello stesso periodo negli Stati Uniti l’età media non toccherà i 35,4 anni”(in J. Rifkin, già citato). Le analisi previsionali sostengono che la popolazione europea al 2050 diminuirà del 13%. Sono dati sui quali riflettere e non per ritenere l’immigrazione un fenomeno “necessitato” anche per sostenere la competitività economica del sistema europeo, o per lo meno non soltanto per questo. In primo luogo una sera e programmata politica demografica, fatta di concreti sostegni alla famiglia e alla natalità. Contemporaneamente occorrerà anche dotarsi di una strategia politica che favorisca l’integrazione partecipata, rispettosa e sentita, in cui i diritti siano affiancati dai doveri, respingendo con “tolleranza zero” i fautori della decomposizione della struttura sociale e culturale dei paesi di accoglienza perché non ambiscono ad integrarsi ma a disintegrare.Dice Pera in Senza Radici:“Integrare è diverso da aggregare, profondamente diverso: l’integrazione presuppone un dialogo a partire dalla mia posizione (a partire dai valori propri), l’aggregazione presuppone l’accondiscendenza. L’integrazione non implica la parità delle posizioni di partenza; implica la pari disponibilità ad accettare l’eventuale approdo comune.”Il maggior indice di natalità proprio delle popolazioni di cultura mussulmana e non, provenienti dall’Africa è un dato di fatto: da ciò può ipotizzarsi, rebus sic stantibus, cioè in assenza di una strategia politica complessa, che ad una politica di sostegno e promozione della famiglia e della natalità affianchi una strategia di valorizzazione e conservazione dei propri connotati culturali caratteristici, una preponderanza demografica di tali popolazioni nel vecchio continente. L’inerzia sarà causa di una progressiva estinzione fisica e culturale del Vecchio Continente. Senza alimentare posizioni razziste o discriminatorie, occorre agire con la consapevolezza che abbiamo l’obbligo morale di preservarci come cultura e impedire che gli ingressi di oggi siano il primo passo della colonizzazione di domani, pretendendo e, se occorre, imponendo a chi vuole soggiornare nei nostri territori, il rispetto dei nostri valori, l’osservanza delle nostre leggi, il riconoscimento dei principi fondamentali su cui si basa la nostra Costituzione.La Carta Costituzionale contiene valori sociali che sono stati ispirati anche dalla tradizione cristiana: la sua accettazione soltanto può rappresentare la vera volontà di effettiva integrazione e di consapevole rispetto delle regole del Paese ospitante.Se non reagiamo, il rischio è l’estinzione della nostra cultura per l’effetto congiunto della depressione demografica e del radicalismo religioso.Al giorno d’oggi non esistono più sistemi culturali confinati negli ambiti nazionali. La mobilità insita nel concetto di globalizzazione rende la diaspora culturale un viaggio non di sola andata: i sistemi di comunicazione mantengono vitali i rapporti con le fonti culturali da cui si trae incessante alimento. Il modello di interazione può definirsi reticolare, instaurando un collegamento ininterrotto tra i vari nodi che compongono la rete. Difendere e perorare la propria specificità culturale, la propria identità, pretendendone il rispetto, non significa trincerarsi dietro posizioni xenofobe. Le diversità debbono coabitare, rispettarsi, riconoscersi e conservare ciascuna la propria tradizione,senza imporsi sulle altre perché la propria “origine” non deve coincidere con la “fine” delle altre fonti culturali.Come esempio concreto di integrazione in atto, possiamo esaminare la riunificazione europea a 25 stati, che rappresenta un caleidoscopio di identità e di sentimenti che si armonizzano in una nuova comunità europea che si riconosce nell’UNITA’ NELLA DIVERSITA’. Questo è il principio che meglio condensa i propositi integrativi e quelli di preservazione della ricchezza identitaria. L’Europa come collettore di identità diverse che confluiscono in una comune cornice istituzionale, integrandosi senza alcuna propensione o volontà di sopraffazione, in quanto consapevoli delle comuni radici.“Radicizzare” una identità è cosa ben diversa dal “radicalizzarla” perché non vi è alcun intento finalizzato a rivestire l’essenza di una tradizione (culturale, storica, religiosa,…) con l’abito dell’intolleranza.Il presupposto dell’autentica integrazione è rappresentato da una realtà nella quale inserirsi: NON CI SI INTEGRA NEL NULLA!Occorre per questo avere piena consapevolezza delle proprie tradizioni culturali, per potersi confrontare con “altre” tradizioni e per pretendere che queste “altre” tradizioni ad esse si adeguino.
domenica 25 ottobre 2009
Principi guida per una possibile politica di integrazione
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