domenica 5 giugno 2011

Fondazione CrA al bivio, tra logiche localistiche e ambizioni nazionali

Nel regno di Palenzona si confrontano posizioni divergenti sul futuro dell’ente mandrogno: a partire dalla collocazione del principale asset bancario, promesso in dote ai milanesi. Ma il matrimonio non funziona.
La Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria rappresenta un caso singolare all’interno del panorama delle istituzioni ex bancarie minori, solo per dimensione, della regione. Questa particolarità non va cercata nel rapporto che l’ente alessandrino intrattiene con il territorio di riferimento ma in alcune particolarità statutarie, nella presenza tra i vertici di nomi “eccellenti” anche per lo scenario nazionale e per la passata e attuale gestione dell’attivo patrimoniale più importante della Fondazione, rappresentato dall’omonima cassa di risparmio, che ha fatto storcere il naso a più d’un osservatore.

Il sostegno allo sviluppo economico e sociale del territorio da parte della Fondazione CR Alessandria non manca. Sotto l’attenta guida del Consiglio Generale e del presidente Grand’Ufficiale Pier Angelo Taverna, la Fondazione alessandrina spende, come riporta il bilancio 2009, l’ultimo disponibile, oltre sei milioni di euro in progetti destinati allo sviluppo dei settori rilevanti. Il 45 per cento del totale, pari a oltre 2.700.000 euro, è indirizzato a progetti nel settore dell’arte e dei beni culturali; il 17 per cento – poco oltre il milione di euro – allo sviluppo locale e all’edilizia popolare. Cifre di poco inferiori al milione di euro finanziano progetti per l’educazione e l’istruzione, la salute pubblica e la medicina. In analogia alla consorella astigiana, anche nel caso di Alessandria destano qualche perplessità i soli 190.000 euro devoluti alla ricerca scientifica e tecnologica: l’importante settore ottiene solo il tre per cento del monte finanziamenti.

Forse a causa della maggiore risonanza storica che la città di Alessandria ha avuto nei secoli passati e della centralità geografica all’interno dell’ormai scomparso triangolo industriale, la Fondazione non si limita a svolgere la propria attività in provincia ma, come recita lo Statuto, opera prevalentemente nel territorio della regione. Inoltre, nel caso di interventi ad alto contenuto sociale, purché riconducibili ai settori di cui sopra, può operare anche al di fuori del territorio nazionale, direttamente o in partnership con altri organismi nazionali o internazionali. L’esempio più attinente è rappresentato dalla partecipazione all’Associazione The World Political Forum, fondata dall’ultimo premier dell’Unione Sovietica Gorbaciov, il cui scopo è di favorire i contatti tra gli scienziati della politica.

Nel momento di scrivere le regole di assegnazione delle cariche societarie, lo Statuto dimentica la vocazione regionale o internazionale e conferma lo stretto legame con il territorio. Coloro che sono chiamati a dettare la strategia di gestione della Fondazione sono i quindici componenti del Consiglio Generale, dei quali due sono designati dal Prefetto di Alessandria, altri due dalla Provincia e tre dal Comune. Anche la curia alessandrina ha voce in capitolo: infatti il Vescovo di Alessandria invia un suo rappresentante in Consiglio. Gli otto consiglieri designati dagli enti e forze sociali locali hanno il potere di nominare altri sette consiglieri, cha devono essere scelti tra personalità di chiara e indiscussa fama e competenza. I componenti del Consiglio Generale durano in carica sei esercizi e nominano i componenti del Consiglio di amministrazione della Fondazione, che riveste grande importanza in quanto ha le chiavi della gestione ordinaria dell’istituto. Oltre alla presenza di Taverna, presidente anche del Consiglio di amministrazione, spicca il nome di Fabrizio Palenzona, che dopo essere stato sindaco di Tortona e presidente della provincia di Alessandria, si è lanciato nel mondo dell’alta finanza, ove attualmente riveste le cariche di vicepresidente Unicredit, presidente di Gemina, dell’Associazione concessionarie autostradali, Aeroporti di Roma e, dulcis in fundo, consigliere di amministrazione di Mediobanca.

Come anticipato, risulta particolarmente contrastato il rapporto tra la Fondazione e la banca da cui fu scorporata nel 1991 per effetto della legge Amato, la Cassa di risparmio di Alessandria, che ne rappresenta, forse ancora per poco tempo, l’asset più importante. A fine 1994, Alessandria precorre i tempi e decide di dare il via alle alleanze bancarie tra Piemonte e Lombardia, che quasi mai hanno portato buone notizie per il territorio regionale. La Fondazione CR Alessandria conferisce il cinquantuno per cento delle azioni della banca in Carinord, holding creata insieme all’ex Cassa di risparmio delle provincie lombarde (Cariplo), che detiene la maggioranza azionaria della nuova società, alla Fondazione CR Spezia e alla Fondazione CR Carrara, che conferiscono le loro casse di risparmio. La finanziaria avrebbe dovuto avere il ruolo, nella salvaguardia dell’identità di ogni singola azienda, di programmare e coordinare le attività svolte dalle partecipate, al fine di promuoverne la competitività e i risultati economici e finanziari. Le Fondazioni minori rispetto alla Cariplo, ritenevano che la via dell’aggregazione fosse obbligata, in analogia al comportamento di tante altre banche a quei tempi, ma non hanno mai creduto fino in fondo all’opportunità: in quest’ottica trova la sua motivazione il venti per cento della Cassa di Alessandria che la Fondazione mantiene sui libri contabili. Non tutte le componenti della Fondazione erano d’accordo con l’operazione: nel 1994 il professore Maurizio Cavallari, consigliere della Fondazione, l’assessore comunale Marco Melchiorre e alcuni consiglieri comunali di Alessandria (Andrea Ferrari, Pietro Caramello, Aldo Rovito, Carlo Vergagni e Gabrio Secco) presentarono un ricorso al Ministro del Tesoro in carica, Lamberto Dini, per fare invalidare la delibera di confluenza. In particolare, Cavallari affermò che al momento della delibera del Consiglio, allora presieduto da Gianfranco Pittatore, che diede il via libera al progetto “Carinord”, lui era assente e quindi non ha potuto esprimere il suo voto in qualità di “consigliere incaricato della tutela del patrimonio”. La delibera di adesione a Carinord fu avallata dal ministero e il ricorso respinto in quanto “non è presente il rischio di dispersione del patrimonio”. Il ricorso non fece piacere a Pittatore e agli altri consiglieri che chiesero un risarcimento a Cavallari pari a un miliardo e mezzo di vecchie lire. In effetti un minimo effetto di dispersione del patrimonio si ebbe a causa dell’intervento dell’antitrust e di Banca d’Italia che obbligarono Carinord allo stop quinquennale di nuovi insediamenti di sportelli. Cavallari non era il solo a temere gli effetti dell’operazione Carinord: più o meno nel medesimo periodo temporale anche il presidente della provincia di Massa Carrara Franco Gussoni, quello della locale Camera di Commercio, Giuseppe Tramonti e tre consiglieri della Fondazione Cassa di Carrara, presentarono richiesta di annullamento della delibera di confluenza, ottenendo il medesimo rifiuto ministeriale.

Il progetto non portò i frutti economici e patrimoniali attesi e nel 2003, Banca Intesa, che aveva incorporato Cariplo, vende con molto piacere l’ottanta per cento di Cassa di risparmio di Alessandria alla Banca Popolare di Milano. La Fondazione mandrogna, oltre a mantenere il venti per cento della Cassa, ottiene il 7,3 per cento del capitale della banca milanese, una della maggiori in Italia. Trascorre un anno e la Fondazione, forse per esigenze di cassa, diminuisce la quota detenuta in BPM al due per cento. Manovra miope, anche se con alta probabilità necessaria, perché diminuisce le possibilità di far sentire la propria voce in Consiglio di amministrazione. In conseguenza, dopo aver investito cifre cospicue per mettere a posto la Cassa di Risparmio di Alessandria, gravata da eccessivi rischi e crediti di dubbia esigibilità, la BPM, anch’essa in acque poco tranquille, decide di integrare al suo interno le banche minori per conseguire risparmi di costi. Il piano industriale della banca milanese prevede l’integrazione in due tempi di Cassa di Alessandria entro il 2011. La Fondazione ha deciso di ostacolare i piani di BPM perché non vuole che la sua quota sia diluita in conseguenza dell’incorporazione, ma l’unico risultato conseguito ha visto le dimissioni del consigliere in BPM in quota Fondazione, Francesco Bianchi, per dissidi tra l’operato di quest’ultimo e il mandato che gli aveva affidato l’istituto alessandrino.

La Fondazione CR Alessandria rivolse i suoi interessi oltre provincia, a differenza di altre consorelle quale la Fondazione CR Asti, e ha usato come carta da visita il suo gioiello di famiglia. La via intrapresa non ha portato i frutti sperati per due motivi: il peso specifico che la Cariplo, una della più importanti banche nazionali, rappresentava, e la scarsa fiducia che alcune componenti locali hanno sempre riposto nell’operazione. La conclusione della vicenda, con ampia probabilità, priverà il territorio alessandrino e la regione di un marchio conosciuto e necessario al territorio.
(Da Lo Spiffero del 25 Maggio 2011 - http://www.lospiffero.com/)

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