CERTO dal 1998 sono passati 10 anni, ma questo articolo di Gianni Alemanno, a me risulta quanto mai attuale: e voi cosa ne pensate?
“Alleati non sudditi” questo vecchio slogan di politica estera del Fronte della Gioventù può, meglio di tanti discorsi, sintetizzare il nocciolo del problema politico e del dilemma tattico-strategico con cui oggi si deve misurare Alleanza nazionale.
Usciti frastornati, impolverati e malconci dalla deflagrazione della Bicamerale, rimasti perplessi e delusi dal flop del Polo sulla vicenda della Nato, gli uomini del vertice di Alleanza nazionale si stanno interrogando in questi giorni sul destino della destra politica italiana.
Come evidenziato ed anche enfatizzato dai giornali, si stanno delineando “due anime” all’interno di An: da un lato i “polisti” o, per i maligni, i cosiddetti “berluscones” che antepongono a qualsiasi strategia il valore primario dell’unità del Polo.
Tra questi Tatarella che proclama “l’indissolubilità del matrimonio con Forza Italia”, Gasparri che nel momento di massima tensione tra Fini e Berlusconi sulla Bicamerale non ha fatto mistero di dare ragione più al Cavaliere che al nostro Presidente, La Russa che teorizza e tenta di praticare anche l’alleanza con la Lega Nord, Urso che – come documenta l’intervista che pubblichiamo più avanti – si spinge fino al punto di predicare l’urgenza della nascita del “Partito unico” del centrodestra.
Dall’altro lato gli “autonomisti” che invece mettono l’accento sulla “identità” culturale e politica della destra e su tutti gli aspetti problematici del rapporto con Forza Italia, la Lega e il centro cossighiano.
Tra questi, oltre l’immarcescibile Tremaglia, Pubblio Fiori e, infine, noi di Area che siamo stati spesso etichettati (tutto sommato a torto) come “nemici giurati” del Cavaliere.
E’ inutile dire che entrambi gli schieramenti finiscono per assolutizzare due termini che sono in realtà interdipendenti e complementari: identità e alleanze sono i due poli magnetici, le due esigenze imprescindibili nella definizione di ogni strategia politica.
Ma sancire questa verità, così profonda da apparire banale, non risolve il problema delle scelte che abbiamo di fronte.
Cerchiamo quindi di tracciare per punti il “manuale di sopravvivenza” di una destra che non vuole diventare subalterna al neo-centrismo, che non vuole morire né democristiana né berlusconiana.
Oppure, se preferite, abbozziamo il manifesto degli autonomisti di An, sperando che, almeno in parte, diventi il manifesto della riscossa unitaria del nostro partito.
1) La destra democratica non è una propaggine estremista del pensiero liberal-liberista, è una cosa diversa. E’ l’incontro tra correnti di pensiero liberale e correnti di pensiero comunitario (nazionale, popolare, partecipativo, sociale anti-statalista), la sintesi tra metodo democratico e il fondamento dei valori naturali, cattolici e tradizionali. Per cui la differenza tra destra e centro non è, come vorrebbero gli amici dell’Udc, quella tra estremisti e moderati, è quella tra modi diversi, ma egualmente equilibrati, di concepire un programma politico. (…..)
2) In particolare sul terreno delle politiche sociali, l’anima comunitaria della destra ci permette una maggiore capacità di concorrenza con la sinistra e un più sereno equilibrio tra istanze liberiste e istanze popolari, rispetto al partito liberale di massa rappresentato da Forza Italia.
3) Da quanto detto discende che il “Partito unico” non è affatto l’inevitabile destino del centrodestra a prescindere dalle evoluzioni più o meno maggioritarie della legge elettorale. Il partito unico potrà eventualmente nascere (creando comunque problemi di mercato elettorale in tutti quei contesti, come negli enti locali, in cui si vota con un impianto proporzionale) solo se e quando destra e centro avranno imparato a rispettare le loro diverse identità culturali. Paradossalmente il partito unico non nasce dalla omologazione culturale, ma dalla possibilità di costruire un partito di programma fondato sul rispetto e la dialettica tra anime culturali diversissime. (….)
4) Altra condizione per immaginare il “Partito unico” come moderno partito di programma è l’esigenza di regole rigorose di democrazia interna, unica garanzia per la convivenza di anime diverse in uno stesso contenitore organizzativo. Su questo piano il ritardo dei partiti di centrodestra è pauroso (….) Unire questi due partiti (FI e AN) non significa risolvere le rispettive carenze democratiche ed organizzative ma moltiplicarle per mille, rischiando la paralisi oligarchica, l’invivibilità dei rapporti umani e l’annullamento di qualsiasi spessore culturale e incidenza nel dibattito politico interno oggi parzialmente tenuto in vita dalla molteplicità delle sigle di partito.
5) Chi oggi propaganda la creazione del partito unico come una soluzione a portata di mano non è un coraggioso innovatore, né un antesignano di splendidi orizzonti di modernizzazione. E’, come minimo, un teoreta che disegna scenari politologici astratti senza curarsi dell’impatto pratico dei suoi ragionamenti. (….)
6) Più in generale va messa in discussione anche la teoria di coloro che, pur non ipotizzando l’immediata creazione del partito unico, immaginano il rapporto tra An e Forza Italia come strutturale, organico e irreversibile. Concepita in questi termini l’alleanza del centrodestra fa diventare An la “ruota di scorta” di Forza Italia, una sorta di corrente di destra del partito del Cavaliere. Come è difficile tentare un processo di fusione in assenza di precise regole democratiche interne, è egualmente arduo costruire un rigido coordinamento politico del Polo avendo a che fare con un “monarca” imprevedibile ed estemporaneo come Berlusconi. L’unico rapporto solido e stabile che è possibile costruire con il Cavaliere è quello della subordinazione assoluta, del totale appiattimento su i suoi continui rovesciamenti di fronte, atteggiamenti che però diventano una posta inaccettabile per una destra consapevole del suo ruolo, dei suoi valori e dei suoi programmi.
7) L’alternativa a tutto questo non è l’isolamento o l’emarginazione in un semplice accordo di desistenza elettorale (come avviene a sinistra tra Ulivo e Rifondazione), l’alternativa è quella di costruire l’alleanza non sulla subordinazione ma sui rapporti di forza. Alleanza nazionale deve fondare la sua legittimazione politica non sulla benevolenza degli alleati ma sul consenso popolare: una destra politica in grado di raccogliere il 15 % del consenso elettorale non è ghettizzabile da nessun centro politico comunque strutturato.
8) Non a caso sono ormai due anni (dalla sconfitta elettorale del ’96) che è partita una subdola campagna per ridimensionare il peso elettorale di An. Una campagna fondata sia sugli attacchi diretti che sull’abbraccio mortale dei consigli malintenzionati. Prima hanno tentato di snaturarci culturalmente, lanciando dalle colonne dei giornali la trasformazione di An in un partito “thatcheriano”, poi è stata demonizzata in tutti i modi l’anima popolare del partito, che ne costituisce la vera forza e la principale originalità, infine si è cercato di convincere Fini ad adeguarsi ai modelli anglosassoni di mediazione e moderatismo che hanno quasi ucciso il suo carisma da leader. Ma in ogni caso è difficile immaginare il successo elettorale di An se il nostro partito si limita ad essere la fotocopia sbiadita e recalcitrante del maggiore partito del centrodestra. (….)
9) Fondare un’alleanza sui rapporti di forza, significa rischiare la crisi in tutti i momenti di grande svolta politica, ma è un rischio che non solo deve essere affrontato ma che comunque è di entità molto minore di quello che temono i “polisti” di An. (….) Se la gestione dei rapporti di forza crea dei pericoli per l’alleanza, la mediazione continua e la subordinazione non danno affatto garanzie superiori facendo pagare un prezzo altissimo all’immagine e alla forza elettorale della destra.
10) L’importante è che i rapporti di forza ed anche gli scontri con gli alleati abbiano come posta in palio grandi prospettive politiche, valori seri, problemi sociali realmente sentiti dalla gente non strategie di “palazzo” come è accaduto nel caso dello scontro tra Berlusconi e il presunto asse D’Alema-Fini sul destino della bicamerale. L’autonomia da Berlusconi si guadagna passando attraverso la gente e non attraverso il palazzo.
11) (….) In questi due anni sono troppe le occasioni in cui abbiamo fatto sconti alla traballante maggioranza di centrosinistra, di questo la gente se ne rende conto in termini anche esasperati, abbandonando la speranza di una vera dialettica politica e tornando a rassegnarsi alle mediazioni di tipo para-democristiano. E’ una vecchia regola mai smentita: il conflitto politico rafforza la destra, la mediazione dà spazio al centro.
12) Questa rotta strategica richiede la creazione di un modello di partito veramente aggregante e rivoluzionario rispetto a tutte le logiche di controllo paternalistico dell’orticello elettorale e dell’apparato organizzativo. Certe volte abbiamo una bruttissima sensazione (senz’altro falsa): proprio coloro che teorizzano l’appiattimento di An su Forza Italia sono le stesse persone che sembrano voler contrastare ogni progetto di apertura verso la società civile e di aggregazione di nuove energie. Come se ci si fosse rassegnati ad un ruolo di “riserva indiana” impossibilitata a competere elettoralmente per l’egemonia dentro il Polo. (….) La completa legittimazione della destra democratica avverrà quando sarà plasticamente testimoniata da una prassi interna rigorosamente fondata su principi di partecipazione popolare e di libera circolazione delle élite.
13) Il nostro discorso termina da dove è partito: Alleanza nazionale è l’incontro tra principi democratici e valori comunitari, è un progetto di profonda modernizzazione fondato sull’identità tradizionale del nostro popolo. Se si riesce veramente ad essere tutto questo, il nostro partito non solo non deve rimanere subalterno a nessun’altra forza politica, ma può aspirare ad uno spazio elettorale ben superiore al 20% dei voti. Nella vicina Francia la destra politica, sommando i voti raccolti dal Front National di Le Pen e dall’RpR di Chirac, supera tranquillamente il 30% dei consensi; mentre in Italia ricorre l’immagine, lanciata da Marcello Veneziani, del “nano sulle spalle del gigante” dove il gigante è la forza della destra nel Paese reale, il nano l’organizzazione politica di questa destra. Abbiamo spazi immensi da conquistare, se riusciamo semplicemente ad essere noi stessi, senza camuffamenti liberaloidi, senza mediazioni per il gusto di mediare, soprattutto senza fare la figura dei servi sciocchi del neo-centrismo. “Alleati, non sudditi” non è un sogno, è un progetto alla nostra portata. Basta mantenere un po’ di quel coraggio politico e di quella coerenza ideale che ci hanno permesso di non essere travolti negli anni bui della prima Repubblica.
Gianni Alemanno
(Luglio 1998)
Usciti frastornati, impolverati e malconci dalla deflagrazione della Bicamerale, rimasti perplessi e delusi dal flop del Polo sulla vicenda della Nato, gli uomini del vertice di Alleanza nazionale si stanno interrogando in questi giorni sul destino della destra politica italiana.
Come evidenziato ed anche enfatizzato dai giornali, si stanno delineando “due anime” all’interno di An: da un lato i “polisti” o, per i maligni, i cosiddetti “berluscones” che antepongono a qualsiasi strategia il valore primario dell’unità del Polo.
Tra questi Tatarella che proclama “l’indissolubilità del matrimonio con Forza Italia”, Gasparri che nel momento di massima tensione tra Fini e Berlusconi sulla Bicamerale non ha fatto mistero di dare ragione più al Cavaliere che al nostro Presidente, La Russa che teorizza e tenta di praticare anche l’alleanza con la Lega Nord, Urso che – come documenta l’intervista che pubblichiamo più avanti – si spinge fino al punto di predicare l’urgenza della nascita del “Partito unico” del centrodestra.
Dall’altro lato gli “autonomisti” che invece mettono l’accento sulla “identità” culturale e politica della destra e su tutti gli aspetti problematici del rapporto con Forza Italia, la Lega e il centro cossighiano.
Tra questi, oltre l’immarcescibile Tremaglia, Pubblio Fiori e, infine, noi di Area che siamo stati spesso etichettati (tutto sommato a torto) come “nemici giurati” del Cavaliere.
E’ inutile dire che entrambi gli schieramenti finiscono per assolutizzare due termini che sono in realtà interdipendenti e complementari: identità e alleanze sono i due poli magnetici, le due esigenze imprescindibili nella definizione di ogni strategia politica.
Ma sancire questa verità, così profonda da apparire banale, non risolve il problema delle scelte che abbiamo di fronte.
Cerchiamo quindi di tracciare per punti il “manuale di sopravvivenza” di una destra che non vuole diventare subalterna al neo-centrismo, che non vuole morire né democristiana né berlusconiana.
Oppure, se preferite, abbozziamo il manifesto degli autonomisti di An, sperando che, almeno in parte, diventi il manifesto della riscossa unitaria del nostro partito.
1) La destra democratica non è una propaggine estremista del pensiero liberal-liberista, è una cosa diversa. E’ l’incontro tra correnti di pensiero liberale e correnti di pensiero comunitario (nazionale, popolare, partecipativo, sociale anti-statalista), la sintesi tra metodo democratico e il fondamento dei valori naturali, cattolici e tradizionali. Per cui la differenza tra destra e centro non è, come vorrebbero gli amici dell’Udc, quella tra estremisti e moderati, è quella tra modi diversi, ma egualmente equilibrati, di concepire un programma politico. (…..)
2) In particolare sul terreno delle politiche sociali, l’anima comunitaria della destra ci permette una maggiore capacità di concorrenza con la sinistra e un più sereno equilibrio tra istanze liberiste e istanze popolari, rispetto al partito liberale di massa rappresentato da Forza Italia.
3) Da quanto detto discende che il “Partito unico” non è affatto l’inevitabile destino del centrodestra a prescindere dalle evoluzioni più o meno maggioritarie della legge elettorale. Il partito unico potrà eventualmente nascere (creando comunque problemi di mercato elettorale in tutti quei contesti, come negli enti locali, in cui si vota con un impianto proporzionale) solo se e quando destra e centro avranno imparato a rispettare le loro diverse identità culturali. Paradossalmente il partito unico non nasce dalla omologazione culturale, ma dalla possibilità di costruire un partito di programma fondato sul rispetto e la dialettica tra anime culturali diversissime. (….)
4) Altra condizione per immaginare il “Partito unico” come moderno partito di programma è l’esigenza di regole rigorose di democrazia interna, unica garanzia per la convivenza di anime diverse in uno stesso contenitore organizzativo. Su questo piano il ritardo dei partiti di centrodestra è pauroso (….) Unire questi due partiti (FI e AN) non significa risolvere le rispettive carenze democratiche ed organizzative ma moltiplicarle per mille, rischiando la paralisi oligarchica, l’invivibilità dei rapporti umani e l’annullamento di qualsiasi spessore culturale e incidenza nel dibattito politico interno oggi parzialmente tenuto in vita dalla molteplicità delle sigle di partito.
5) Chi oggi propaganda la creazione del partito unico come una soluzione a portata di mano non è un coraggioso innovatore, né un antesignano di splendidi orizzonti di modernizzazione. E’, come minimo, un teoreta che disegna scenari politologici astratti senza curarsi dell’impatto pratico dei suoi ragionamenti. (….)
6) Più in generale va messa in discussione anche la teoria di coloro che, pur non ipotizzando l’immediata creazione del partito unico, immaginano il rapporto tra An e Forza Italia come strutturale, organico e irreversibile. Concepita in questi termini l’alleanza del centrodestra fa diventare An la “ruota di scorta” di Forza Italia, una sorta di corrente di destra del partito del Cavaliere. Come è difficile tentare un processo di fusione in assenza di precise regole democratiche interne, è egualmente arduo costruire un rigido coordinamento politico del Polo avendo a che fare con un “monarca” imprevedibile ed estemporaneo come Berlusconi. L’unico rapporto solido e stabile che è possibile costruire con il Cavaliere è quello della subordinazione assoluta, del totale appiattimento su i suoi continui rovesciamenti di fronte, atteggiamenti che però diventano una posta inaccettabile per una destra consapevole del suo ruolo, dei suoi valori e dei suoi programmi.
7) L’alternativa a tutto questo non è l’isolamento o l’emarginazione in un semplice accordo di desistenza elettorale (come avviene a sinistra tra Ulivo e Rifondazione), l’alternativa è quella di costruire l’alleanza non sulla subordinazione ma sui rapporti di forza. Alleanza nazionale deve fondare la sua legittimazione politica non sulla benevolenza degli alleati ma sul consenso popolare: una destra politica in grado di raccogliere il 15 % del consenso elettorale non è ghettizzabile da nessun centro politico comunque strutturato.
8) Non a caso sono ormai due anni (dalla sconfitta elettorale del ’96) che è partita una subdola campagna per ridimensionare il peso elettorale di An. Una campagna fondata sia sugli attacchi diretti che sull’abbraccio mortale dei consigli malintenzionati. Prima hanno tentato di snaturarci culturalmente, lanciando dalle colonne dei giornali la trasformazione di An in un partito “thatcheriano”, poi è stata demonizzata in tutti i modi l’anima popolare del partito, che ne costituisce la vera forza e la principale originalità, infine si è cercato di convincere Fini ad adeguarsi ai modelli anglosassoni di mediazione e moderatismo che hanno quasi ucciso il suo carisma da leader. Ma in ogni caso è difficile immaginare il successo elettorale di An se il nostro partito si limita ad essere la fotocopia sbiadita e recalcitrante del maggiore partito del centrodestra. (….)
9) Fondare un’alleanza sui rapporti di forza, significa rischiare la crisi in tutti i momenti di grande svolta politica, ma è un rischio che non solo deve essere affrontato ma che comunque è di entità molto minore di quello che temono i “polisti” di An. (….) Se la gestione dei rapporti di forza crea dei pericoli per l’alleanza, la mediazione continua e la subordinazione non danno affatto garanzie superiori facendo pagare un prezzo altissimo all’immagine e alla forza elettorale della destra.
10) L’importante è che i rapporti di forza ed anche gli scontri con gli alleati abbiano come posta in palio grandi prospettive politiche, valori seri, problemi sociali realmente sentiti dalla gente non strategie di “palazzo” come è accaduto nel caso dello scontro tra Berlusconi e il presunto asse D’Alema-Fini sul destino della bicamerale. L’autonomia da Berlusconi si guadagna passando attraverso la gente e non attraverso il palazzo.
11) (….) In questi due anni sono troppe le occasioni in cui abbiamo fatto sconti alla traballante maggioranza di centrosinistra, di questo la gente se ne rende conto in termini anche esasperati, abbandonando la speranza di una vera dialettica politica e tornando a rassegnarsi alle mediazioni di tipo para-democristiano. E’ una vecchia regola mai smentita: il conflitto politico rafforza la destra, la mediazione dà spazio al centro.
12) Questa rotta strategica richiede la creazione di un modello di partito veramente aggregante e rivoluzionario rispetto a tutte le logiche di controllo paternalistico dell’orticello elettorale e dell’apparato organizzativo. Certe volte abbiamo una bruttissima sensazione (senz’altro falsa): proprio coloro che teorizzano l’appiattimento di An su Forza Italia sono le stesse persone che sembrano voler contrastare ogni progetto di apertura verso la società civile e di aggregazione di nuove energie. Come se ci si fosse rassegnati ad un ruolo di “riserva indiana” impossibilitata a competere elettoralmente per l’egemonia dentro il Polo. (….) La completa legittimazione della destra democratica avverrà quando sarà plasticamente testimoniata da una prassi interna rigorosamente fondata su principi di partecipazione popolare e di libera circolazione delle élite.
13) Il nostro discorso termina da dove è partito: Alleanza nazionale è l’incontro tra principi democratici e valori comunitari, è un progetto di profonda modernizzazione fondato sull’identità tradizionale del nostro popolo. Se si riesce veramente ad essere tutto questo, il nostro partito non solo non deve rimanere subalterno a nessun’altra forza politica, ma può aspirare ad uno spazio elettorale ben superiore al 20% dei voti. Nella vicina Francia la destra politica, sommando i voti raccolti dal Front National di Le Pen e dall’RpR di Chirac, supera tranquillamente il 30% dei consensi; mentre in Italia ricorre l’immagine, lanciata da Marcello Veneziani, del “nano sulle spalle del gigante” dove il gigante è la forza della destra nel Paese reale, il nano l’organizzazione politica di questa destra. Abbiamo spazi immensi da conquistare, se riusciamo semplicemente ad essere noi stessi, senza camuffamenti liberaloidi, senza mediazioni per il gusto di mediare, soprattutto senza fare la figura dei servi sciocchi del neo-centrismo. “Alleati, non sudditi” non è un sogno, è un progetto alla nostra portata. Basta mantenere un po’ di quel coraggio politico e di quella coerenza ideale che ci hanno permesso di non essere travolti negli anni bui della prima Repubblica.
Gianni Alemanno
(Luglio 1998)
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