(Premessa: in vista di Orvieto -19/20 Luglio- La Destra di Alessandria ha discusso ed elaborato alcuni documenti su argomenti sui quali pensiamo di dover richiamare l’attenzione di tutto il Partito. Ho ritenuto utile renderli pubblici su questo blog).
La Destra per una politica economica e sociale di sviluppo (Aldo Rovito)
In materia è rilevante il provvedimento del Governo che ha fissato il tasso di inflazione programmata all’1,7%; in contemporanea l’ISTAT diffondeva i suoi dati secondo i quali l’inflazione effettiva risulterebbe attualmente al 3,9%.
Bisogna ricordare che il tasso di inflazione programmata è il tasso tendenziale entro il quale dovrebbe muoversi la dinamica salariale, è un frutto della concertazione sindacale degli anni ’90 e non una invenzione diabolica di Tremonti. Tra l’altro la precedente finanziaria del governo Prodi aveva fissato il tasso d’inflazione programmato nella stessa misura dell’1,7%. Scontato, pertanto il silenzio di CGIL-CISL-UIL, quando il provvedimento fu preso da Padoa-Schioppa, altrettanto scontato il clamore della polemica sindacale oggi che analogo provvedimento viene preso da un governo non di sinistra.
Sostengono i Sindacati, e non hanno torto, che, se i salari (e le pensioni) aumentassero dell’1,7%, i percettori di reddito fisso, dato l’aumento reale dei prezzi al 3,9%, perderebbero nel prossimo triennio dai 1500 ai 3000 €. l’anno.
Subito naturalmente è insorta la Confindustria, con la neo Presidente Mercegaglia (ci sono i rinnovi di molti contratti in scadenza o già scaduti in ballo!), lanciando l’allarme per la spirale inflazionistica che verrebbe messa in moto da da una paventata rincorsa salari-prezzi. Peraltro era stata la stessa Mercegaglia non più di due mesi fa a evidenziare come in Italia i salari fossero mediamente inferiori del 30% a quelli degli altri paesi europei e imputava proprio a tale differenza il fatto che la ripresa economica italiana fosse meno brillante di quella degli altri paesi europei.
Si può concordare con la tesi che, soprattutto in un periodo di crescita economica prossima allo zero o, comunque, troppo bassa, qual è quella dell’attuale congiuntura italiana, non si può tornare a considerare il salario una variabile indipendente del sistema economico, libera di crescere, senza tener conto degli altri indicatori economici.
Non possiamo però neanche assistere in silenzio al generale impoverimento verso cui sta precipitando il 40% della popolazione italiana, impoverimento che non verrà certamente frenato né dalle poche centinaia di €. l’anno risparmiate con l’abolizione dell’ICI sulla prima casa, né con la detassazione degli straordinari dei dipendenti privati (e perché i dipendenti pubblici sono esclusi?), misure che riteniamo assolutamente insufficienti (teniamo conto anche della contemporanea registrazione di un calo dei consumi, negli ultimi mesi, concentrato soprattutto sui beni di prima necessità e sui carburanti). Lo stesso Governatore della Banca d’Italia ha dichiarato che "L'aumento dei prezzi ha portato in un anno ad una riduzione del 3% del reddito disponibile e frenerà del 2% i consumi entro l'anno. I salari sono infatti tornati ai livelli di 15 anni fa, ma i costi del lavoro per le imprese italiane sono invece cresciuti del 30%: salari fermi, bassa produttività, fisco alto e inflazione sono alla base della ''stagnazione della nostra economia'', mentre ''Il divario tra capacità di spesa dei lavoratori e la capacità competitiva delle imprese riflette la stentata crescita della produttività, la mancata discesa dell'elevata imposizione fiscale, l'effetto dell'inflazione". L'aumento dei prezzi dalla scorsa estate - ha spiegato Draghi nella sua analisi - ha portato "fino ad oggi una minore crescita del reddito disponibile di oltre 1 punto percentuale, che sale a 3 se si tiene anche conto delle perdite di valore reale della ricchezza finanziaria". Questo "potrà ridurre i consumi di circa 2 punti entro il prossimo anno".
Non basta criticare, bisogna anche proporre.
Con semplicità allora, proviamo a proporre che per il triennio 2009-2011, tutti gli incrementi salariali (e delle pensioni), siano esenti da imposte e da contributi: gli aumenti salariali per i rinnovi contrattuali (sia del settore privato che di quello pubblico) arriverebbero in tasca ai dipendenti senza alcuna trattenuta né fiscale né contributiva: i datori di lavoro avrebbero solo l’onere di quanto direttamente percepito in più dal lavoratore, senza ulteriori costi.
I lavoratori potrebbero accettare aumenti salariali tendenzialmente più vicini all’1,7% indicato, e i datori di lavoro potrebbero acconsentire ad aumenti più vicini al dato reale del 3,9%
Le entrate dello Stato non subirebbero alcun contraccolpo negativo: le entrate da IRPEF da lavoro dipendente rimarrebbero stabili.
Il maggior reddito disponibile per i lavoratori, però farebbe crescere la domanda di beni di consumo, per cui aumenterebbero, per lo Stato, le entrate da imposte indirette, in misura sufficiente a compensare le maggiori spese per gli aumenti salariali nel pubblico impiego, non solo, ma l’aumento del reddito disponibile, dei consumi, farebbe crescere la domanda di beni e quindi creerebbe crescita economica e sviluppo.
Accompagnata dalla contestuale abolizione delle accise sui carburanti (riprendiamo qui le motivazioni della battaglia per l’abolizione delle accise), nonché da una riduzione delle imposte che gravano per quasi 5 Miliardi di Euro sulle bollette dell’energia elettrica (come richiestola Alessandro Ortis Presidente dell’Autorità per l’Energia), la manovra rilancerebbe l’economia, darebbe sostegno reale ai redditi più bassi, frenerebbe l’aumento dei prezzi, instaurerebbe un circolo virtuoso che consentirebbero all’Italia di agganciarsi alla ripresa economica che è in atto in tutto il mondo.
Il conseguente incremento della produttività favorirebbe, nel triennio, il rientro dell’Italia, nei parametri di Maastricht, per quanto riguarda il rapporto debito-PIL, perché crescerebbe appunto il Prodotto Interno Lordo.
Ovviamente per realizzare questo obiettivo occorre un grande sforzo di concertazione, in cui la politica, non perda tempo in leggi ammazza-processi, ma sappia assumere il suo ruolo di guida illuminata e non di semplice arbitro dei fenomeni economici e sociali, che non possono essere lasciati in balia delle cosiddette libere forze del mercato e dei loro egoismi.
Una politica per la Sanità (dr. Paola Milan)
Il caso della clinica milanese “Santa Rita” ci illumina su quello che corre il rischio di divenire in futuro la sanità italiana.
La ricerca del profitto a tutti i costi e del guadagno facile, dominanti nell’economia “globalistica” spingono i medici e gli amministratori di strutture sanitarie pubbliche e private a trasformarsi in imprenditori e non a ricordarsi del “Giuramento di Ippocrate”, della carità cristiana e del dovere di solidarietà.
In questo contesto si ritiene fondamentale operare per :
migliorare il funzionamento degli ospedali pubblici, alcuni dei quali già a livelli eccellenti, dotandoli di apparecchiature bio-mediche innovative e di personale medico e paramedico altamente qualificato. Attualmente nella Regione Piemonte, retta dalla “sinistra”, avviene esattamente il contrario in quanto manca il ricambio tecnologico delle apparecchiature che diventano sempre più obsolete e non c’è sostituzione del personale medico e infermieristico allettato dalle “sirene” delle cliniche private. Occorre quindi, incentivare i medici che operano con diligenza evitando il conseguente flusso dei pazienti verso le strutture private dove le liste d’attesa più veloce. Come alcuni medici di famiglia testimoniano, nei centri privati convenzionati si eseguono un numero ingente di esami diagnostici tutti i giorni riducendo i tempi d’attesa per i pazienti ma nel contempo si registra un alto rischio di possibilità d’errore molto più elevato rispetto agli ospedali.
trasformare i piccoli ospedali in strutture di “primo soccorso” e day hospital e concentrare le risorse nei poli sanitari d’eccellenza;
evitare il risparmio sulle spese “utili” quali le apparecchiature sanitarie, i presidi ospedalieri e i farmaci;
limitare gli incentivi ai medici di famiglia finalizzati al risparmio sulla diagnostica e sui farmaci, questa stortura impedisce di fare prevenzione e di curare efficacemente le patologie determinando nel lungo periodo l’aumento della spesa sanitaria,
risanare e potenziare l’Agenzia Italiana del farmaco (A.I.FA.) per farla diventare un organo serio che eviti l’immissione in commercio di prodotti farmaceutici prodotti in Paesi extra UE senza certificazione di qualità ma poi “consigliati” dai farmacisti perché fonti di grossi guadagni;
attivare un fondo comune tra i paesi dell’UE di solidarietà per gli immigrati al fine di ripartire in modo solidale le spese necessarie alle loro cure e non farle ricadere solo sui Paesi che li accolgono.
UNA POLITICA ENERGETICA (dr. Fabio Robotti)
L’Unione Europea è da sempre assente nel definire, se non misure cogenti, almeno i contorni e gli obiettivi di una politica energetica “comune” come invece necessiterebbe un comparto dal carattere strategico per lo sviluppo socio-economico dei singoli Stati componenti e il benessere dei cittadini europei.
La scelta fatta al momento della sottoscrizione del trattato di Maastrich (1992) di escludere la tematica energetica dai comparti strategici oggetto d’integrazione, ha indebolito l’Europa in questo ambito cruciale che con il passare degli anni, a fronte dei continui rincari del prezzo del petrolio, viene percepita come l’espressione di un “egoistico” interesse nazionale.
In assenza di una politica “comune” i Paesi europei presentandosi in ordine sparso sul mercato mondiale dell’energia rappresentano singole domande deboli a confronto di un'unica offerta forte rappresentata da un unico “cartello di Paesi produttori”, che pur politicamente e ideologicamente distanti, se non talvolta anche in conflitto armato tra loro, seguono una politica unitaria contingentando le produzioni e decidendone il prezzo.
La mancanza di una vera e propria politica energetica per l’Unione Europea non ha permesso in questi anni, nei quali l’Italia e gli Italiani hanno dovuto adeguarsi anche alle più strane Direttive e Indirizzi calate da Bruxelles e Strasburgo, di lavorare per raggiungere la sicurezza degli approvvigionamenti energetici.
L’inerzia dell’Europa governata da una “sinistra tecnocratica” ha impedito negli anni scorsi in una fase congiunturale ancora caratterizzata da bassi prezzi dei combustibili fossili, di sostenere investimenti per la ricerca nel settore energetico e in particolare delle fonti rinnovabili, di realizzare una progressiva integrazione tra i diversi mercati degli Stati membri, di promuovere un modello di pianificazione integrata delle differenti fonti energetiche e il trasferimento di conoscenze ed esperienze per la diffusione di tecnologie ad alta efficienza energetica, finalizzata al risparmio energetico.
L’Euro-buro-tecnocrazia operando in questa sciagurata maniera ha tradito lo spirito dei “Padri fondatori” dell’Europa di cui il Lussemburghese Jacques Santer del Partito Popolare Cristiano Sociale fu l’ultimo alfiere. L’Unione Europea doveva infatti fondarsi sui famosi “tre pilastri” Politica estera e sicurezza comune – Affari interni e Giustizia – Comunità, quest’ultimo il vero e proprio cuore dell’Europa che ricomponeva assieme il vecchio Mercato Comune, la Comunità del Carbone dell’Acciaio e l’EURATOM e che mostra come era evidente già negli anni cinquanta del novecento l’importanza che veniva data a una politica unitaria nel campo dell’energia.
Dal 2000 il Consiglio e il Parlamento Europeo, pur in presenza della consapevolezza di un sicuro aumento del costo dell’energia per la domanda esponenzialmente crescente delle neo potenze economiche della Cina e dell’India, si sono limitati a cercare le maniere più economicamente convenienti per raggiungere l’obiettivo della riduzione di gas serra derivati dal consumo delle prodotti energetici (Protocollo di Kioto) senza per altro pensare a modelli d’efficienza energetica da mettere in campo .
La fragilità geopolitica dell’Unione Europea è denunciata dalla stessa Commissione Europea attraverso il Libro Verde del 29 novembre 2000 che mostra come al momento della stesura del rapporto l’approvvigionamento energetico esterno copriva il 50 % della domanda e che si prevedeva al 2030 un aumento fino al 70 %.
La Commissione non rifletteva sul fatto che ci si trova totalmente in balia del mercato mondiale dell’energia con la possibilità di venirne “strozzati” ma individuava soluzioni di ingegneria finanziaria ritenendole atte a risolvere la drammatica situazione (completare la liberalizzazione nel mercato interno di ciascun Stato dell’elettricità e del gas, utilizzare la leva fiscale dell’energia per internazionalizzare i costi esterni, pensare al trasporto e al riscaldamento attraverso il biocarburante o all’idrogeno).
La risposta recente del Governo italiano di ricorre al nucleare ci sembra una proposta su cui si possa anche discutere a patto che vengano fornite in modo trasparente alcune informazioni che possono permetterci di esprimere un parere sulla scelta indipendentemente dall’ideologizzazione che è sempre stata fatta in Italia circa l’opzione nucleare.
Occorre conoscere con sicurezza il numero di centrali che si vogliono costruire e la loro localizzazione, i tempi di entrata in produzione, la percentuale di domanda energetica che al momento del loro funzionamento potranno coprire e il costo di realizzazione al fine poter conoscere il reale costo del Kilowattora prodotto.
I rimedi proposti dal Governo mancano d’attenzione alla gravità del momento contingente e probabilmente alla situazione del futuro più prossimo ma si limitano a proporre una sorta di panacea in un futuro lontano da noi di almeno quindici anni.
La Destra deve proporsi non solo in Italia ma in Europa con un programma d’azione volto a considerare la domanda d’energia nella Unione come la necessità di un unico soggetto.
Occorrerà pensare a un sistema di garanzia per agevolare con la massima trasparenza gli scambi d’energia all’interno della rete europea con l’obiettivo di arrivare, ( così come oggi è presente un gestore unico in ogni paese) a un gestore unico europeo che possa consentire la gestione unitaria e solidale della trasmissione e della distribuzione (dell’energia) a livello europeo.
In tal modo da subito potrebbero essere sfruttate le differenti fonti energetiche presenti in ogni Paese mettendole in comune e allo stesso modo si potrebbe pensare allo sviluppo delle fonti di approvvigionamento alternative alle fonti fossili secondo la vocazionalità dei singoli Stati e non costringendoli in nome di un antistorico sentimento autarchico a realizzare ognuno un parco atomico – eolico – solare – fotovoltaico - idroelettrico.
La vocazionalità consentirebbe di sviluppare le tecnologie più in armonia con i singoli ambienti geografici così ad esempio il sud dell’Europa. attraverso l’impiego delle forme più adatte di produzione di energia potrebbe con la medesima dignità cooperare a soddisfare parte della domanda energetica come le altre aree che già da tempo contribuiscono con il nucleare o con le centrali a olio/carbone.
Questa politica potrà avere come obiettivo finale l’unificazione a livello europeo del prezzo del kilowattora sia per l’industria che per il consumatore-famiglia, evitando ingiuste sperequazioni che si riverberano sul prezzo finale delle merci.
Analoga azione potrebbe essere intrapresa per quanto riguarda i degassificatori o le infrastrutture per l’attracco delle super petroliere risparmiando sui costi economici e ambientali di tali infrastrutture.
Allo stesso modo l’Europa dovrebbe rappresentare sul mercato del petrolio e del gas naturale un’unica domanda che sia la sommatoria di quella dei singoli Stati e al tempo stesso dovranno essere comuni i piani di risparmio energetico.
Documento commissione sicurezza (Marinella Vallini)
La commissione sicurezza dal suo insediamento ha svolto diverse riunioni cercando di elaborare alcune proposte di intervento sia su problematiche locali che di interesse generale.
Abbiamo partecipato all’assemblea pubblica sulla sicurezza che si è svolta a Spinetta.
Dai nostri incontri sono nate alcune proposte che ci sentiamo di presentare in vista della Conferenza Programmatica di Orvieto.
1) Il nostro primo suggerimento è quello di chiedere che sia ripristinato nel Codice Penale il reato di “oltraggio” a tutela degli appartenenti a tutte le Forze dell’Ordine. Abbiamo anche elaborato il testo della p.d.l.. Ci permettiamo di invitare i vertici del Partito di valutare la possibilità di utilizzare questo testo per una proposta di legge di iniziativa popolare. Potremmo su questo tema utilizzare il periodo invernale post-congresso per la campagna raccolta firme con comunicati, convegni, tavolini per la raccolta delle firme, caratterizzandoci come partito vicino alle forze dell’Ordine e quindi come partito della legalità e dell’Ordine.
Se la proposta sarà accettata, ci impegnamo a realizzare la modulistica e lo studio delle formalità burocratiche da seguire per realizzare l’obiettivo.
Testo della P.d.l. Norme a tutela degli appartenenti alle Forze dell’Ordine
(Relazione alla p.d.l.):
L’abolizione del reato di oltraggio a pubblico ufficiale effettuata dall’art. 18 della Legge 25 giugno 1999, n. 25 che ha abrogato l’art. 341 del codice penale ( il quale prevedeva tale ipotesi delittuosa e la puniva con la reclusione da sei mesi a due anni) ha avuto conseguenze deleterie per gli appartenenti alle Forze dell’ordine.
‘E vero che le norme che puniscono l’ingiuria e la minaccia consentirebbero, a querela di parte, la punizione di tali reati, pur commessi nei confronti degli appartenenti alle Forze dell’Ordine, ma è del pari vero, come l’esperienza insegna, che solo la perseguibilità d’ufficio di tali reati è vera tutela di chi, spesso in condizioni difficili, compie, in divisa, il proprio dovere, a tutela della sicurezza dei cittadini e dello Stato e per la difesa della legalità e dell’ordine pubblico
Si propone pertanto di ripristinare, per una più valida tutela degli appartenenti alle Forze dell’Ordine, il reato di oltraggio.
In secondo luogo, si invoca, da più parti la certezza e la effettività della pena. Pertanto nella presente proposta, pur fissandosi un limite minimo e massimo di pena inferiori a quelli previsti nell’originario testo dell’art. 341 c.p., si propone tuttavia che per questo reato e per quello previsto e punito dall’art. 337 c.p (resistenza) se commesso nei confronti di appartenenti alle Forze dell’Ordine, non sia mai possibile concedere in alcun caso la sospensione condizionale della pena inflitta.
TESTO della proposta di legge::
Art. 1 - Nel Codice Penale, dopo l’art. 340, è inserito il seguente articolo:
“art. 341 - Chiunque offende l’onore o il prestigio di un appartenente alle Forze dell’Ordine *, in presenza di lui e a causa o nell’esercizio delle sue funzioni, è punito con la reclusione da un mese a un anno.
La stessa pena si applica a chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica o telematica o con scritto o disegno, diretti all’appartenente alle Forze dell’Ordine, a causa delle sue funzioni.
Le pene sono aumentate, quando il fatto è commesso con violenza o minaccia, ovvero quando l’offesa è recata in presenza di una o più persone
Le pene inflitte per il reato previsto dal presente articolo e dall’art. 337 c.p, commesso nei confronti di appartenenti alle Forze dell’Ordine, non possono mai essere condizionalmente sospese.
2) Commentando i primi provvedimenti del Governo Berlusconi, dobbiamo rilevare che accanto a proposte estremamente condivisibili (aggravamento delle pene per chi ha causato incidenti stradali con morti o feriti avendo guidato in stato di ebbrezza alcolica o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, nuove misure per la confisca dei beni ai mafiosi) ce ne sono alte che ad una approfondita analisi, mostrano tutta la loro debolezza.
L’introduzione dell’aggravante della clandestinità, l’introduzione del reato di immigrazione clandestina e l’aver ridotto da dieci a due anni la condanna con la quale il Giudice ordina la misura di sicurezza della espulsione dello straniero condannato, in realtà serviranno solo ad intasare le carceri e le aule giudiziarie, ma non produrranno neanche una sola effettiva espulsione in più.
Per ottenere questo risultato (dal 2003 al 2006 la percentuale delle espulsioni effettivamente eseguite sul totale di quelle intimate si è progressivamente ridotta, passando dal 61,6 % del 2003, 56,8 % del 2004, al 45,3% del 2005, al 36,5% del 2006, mentre i “non ottemperanti” sono cresciuti progressivamente dai 40.586 del 2003 ai 78.934 del 2006: dati del Dossier immigrazione 2007 della Charitas), occorre semplicemente dare alle Questure (è il Questore che deve eseguire coattivamente le espulsioni, sia quelle a seguito di decreto del Prefetto, sia quelle su ordine dell’Autorità Giudiziaria) i mezzi economici per eseguirle.
Invece l’attuale Governo, per mantenere la promessa elettorale dell’abolizione totale dell’ICI sulla prima casa, ha sottratto fondi anche agli stanziamenti del Ministero dell’Interno, rendendo così ancor più difficile l’operatività delle Forze di polizia. Inoltre sempre con il Decreto Legge n. 112 pubblicato sulla G.U. n. 147 del 25/06/2008 si penalizzano nuovamente i militari in quanto vengono introtte una serie di norme (ART. 65 (FORZE ARMATE) PUNTI N. 1 – 2 – 3, ART. 66 (TURN OVER)
ART. 67 (CONTRATTAZIONE INTEGRATIVA), ART. 69 (PROGRESSIONE TRIENNALE), ART. 70 (ESCLUSIONE DI TRATTAMENTI ECONOMICI AGGIUNTIVI PER INFERMITA’ DIPENDENTE DA CAUSA DI SERVIZIO) PUNTI. N. 1 – 2).
Inoltre l’art. 72, Comma. 11 comma 11 avra’ l’effetto di pensionare in maniera coatta piu’ di 11.000 militari, 6.000 carabinieri e circa 20.00 tra finanzieri, poliziotti, penitenziari e forestali.
Se la sicurezza è un obiettivo che tutti i cittadini chiedono al Governo di perseguire con serietà e con celerità, non è di certo con i tagli ai finanziamenti o con la misura populistica, ma scarsamente efficace, di destinare 3000 militari a funzioni di ordine pubblico, che tale obiettivo potrà essere raggiunto.
INFRASTRUTTURE MODERNE PER I TRASPORTI (arch. Maurizio Carta)
Dai risultati di diverse analisi condotte a livello europeo, è possibile trarre alcune considerazioni sullo stato attuale e sulle possibili evoluzioni della dotazione infrastrutturale nazionale.
Nonostante le intenzioni ed i lodevoli sforzi attuali, la situazione appare insoddisfacente, soprattutto in prospettiva di una revisione generale delle reti.
Nel caso della rete ferroviaria,per esempio,questa risulta infatti decisamente inadeguata, arretrata e pertanto incapace di rispondere alle esigenze emergenti.
Sono dati che emergono con grande evidenza se si considerano le politiche messe in atto da nazioni quali la Francia e la Svizzera per migliorare l’efficienza dei loro sistemi ferroviari, nonostante gli investimenti già attuati e quelli previsti nei prossimi anni in questi due Paesi, sono rivolti principalmente al potenziamento della rete ad alta velocità, prestando contemporaneamente particolare attenzione ai temi della promozione della multimodalità, al fine di decongestionare la rete stradale e di perseguire obiettivi più generali di tutela dell’ambiente.
L’arretratezza della rete , a fronte dei grandi investimenti nei Paesi limitrofi, può costituire un grave problema per il suo inserimento in dinamiche evolutive di più ampio respiro, quali quelle europee, e quindi per il suo sviluppo futuro.
In tale prospettiva diventa evidente l’urgenza di interventi volti all’ammodernamento della rete ferroviaria e alla realizzazione della linea ad alta velocità ad alto contenuto tecnologico per conseguire obiettivi di integrazione europea.
Per quanto riguarda la rete autostradale, l’evoluzione di questa sembra essere ormai giunta ad una situazione di soglia, mentre nei Paesi confinanti si evidenziano ancora margini di crescita piuttosto ampi come appare da connotazioni di una continua e costante espansione.
Il sistema autostradale è senza dubbio articolato, tuttavia, ancora oggi rimangono scoperte alcune zone emergenti a livello di territorio regionale pur evidenziando la carenza di altri alcuni collegamenti fondamentali.
Sono dunque necessari e improrogabili, anche per detta infrastruttura di trasporto, alcuni importanti investimenti che consentirebbero di completare la rete e soprattutto di collegarsi alle reti dei Paesi confinanti.
Per quanto riguarda la scarsa dotazione di tecnologie innovative di trasporto aereo e marittimo, si rilevano forti carenze, ritardi e politiche poco incisive.
A questo proposito il confronto con le realtà circostanti é assai preoccupante: mentre Svizzera e Francia hanno da tempo avviato politiche volte sia a creare una rete per l’alta velocità ferroviaria sia a trasformare gli aeroporti in hubs di livello europeo , l’Italia pare scontare grandi ritardi e difficoltà nel mettere in atto politiche razionali creando situazioni di ruoli di secondo piano nel sistema aeroportuale.
Da queste osservazioni emerge con chiarezza il rischio reale di progressivo spostamento delle dinamiche evolutive verso una sorta di marginalizzazione anzichè garantire una posizione privilegiata negli scambi con il resto dell’Europa. Mentre risulterebbero necessarie politiche incisive per la promozione, il miglioramento e potenziamento della multimodalità nel trasporto merci, pur nel rispetto dei vincoli e delle opportunità ambientali.
Sviluppare il trasporto mare-mare è pertanto possibile anche sul fronte interregionale attraverso politiche, ancora in gran parte da costruire, che dovranno interessare diversi assi e misure.
Urgono incentivi per il cabotaggio e il trasporto merci sulle autostrade marine per mezzo ad esempio di convenzioni ambientali ed accordi con gli operatori, incrementi di traffici attraverso tariffe agevolate e contratti particolari di tipo dedicato.
Inoltre, agevolazioni per investimenti multifunzioni e per gli interporti in grado di disporre dell’intera catena logistica, dalla multimodalità, alla produzione,ai servizi alla produzione, alla distribuzione e vendita.
Politiche regionali orientate al trasporto maggiormente sostenibile e per ridurre l’impatto da congestione (per esempio la Regione Piemonte, non ha alcun contatto strutturale con il mare e i porti, ma esso è reso necessario dalla presenza di importanti mercati urbani e metropolitani e dalla presenza di un numero considerevole di distretti industriali e di sistemi produttivi locali).
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Le cause più evidenti delle carenze infrastrutturali esistenti ad oggi risultano le seguenti:
- la mancanza di risorse finanziarie pubbliche statali utilizzabili per il finanziamento di opere infrastrutturali, dovuta a vari episodi di crisi di bilancio ;
- l’incapacità, in alcuni casi, della Pubblica Amministrazione locale di governare lo sviluppo e la realizzazione delle opere;
- scarsa incisività delle politiche d’investimento ad attrarre risorse private;
- la ridotta politica, trasparente e decisa, in merito allo sviluppo delle grandi opere pubbliche, inserita nell'ambito di una più ampia politica economica, volta a favorire lo sviluppo del sistema imprenditoriale italiano, soprattutto a livello europeo;
In sostanza, la chiarezza delle regole, la trasparenza dei comportamenti, la presenza di competenze consolidate e verificate ed il concorso di più soggetti in leale concorrenza tra loro, sono mancati così come è mancato, in ciascuno dei progetti realizzati in passato, il controllo incrociato tra soggetti portatori di competenze differenziate ed in collaborazione tra loro per raggiungere un fine comune.
Un aspetto meno evidente, ma non meno rilevante di quelli appena descritti, è dato dalle particolari caratteristiche del rapporto tra pubblico e privato intervenuto nell'ambito della realizzazione di opere pubbliche in Italia. Tale rapporto è sempre stato caratterizzato, come, peraltro, in molti altri Paesi, da una presenza quasi esclusivamente pubblica nel finanziamento delle opere infrastrutturali intesa in termini di fruizione delle opere realizzate. Di conseguenza, ciò non ha consentito di stimolare una realizzazione ed una gestione realmente efficienti da parte dei soggetti privati che, a vario titolo, avrebbero potuto parteciparvi.
Nell'ambito delle attività imprenditoriali, non solo esiste la distinzione tra imprese pubbliche ed imprese private, ma soprattutto tra imprese efficienti ed imprese inefficienti cioè imprese attente a mantenere adeguati livelli di economicità, responsabili del proprio ruolo nel sistema economico e sociale. Ciò che interessa non è, quindi, l’”imprenditorializzazione” dell’Ente, ma la razionalizzazione imprenditoriale dell’esecuzione e della gestione dell’opera, argomento distante, in passato, alle Amministrazioni Pubbliche, ma già ben noto alla classe imprenditoriale.
L'eccessivo peso della componente pubblica nel finanziamento e nella conduzione della realizzazione di opere pubbliche, non ha consentito di attivare le sinergie tra competenze e risorse di diversa provenienza che sarebbero invece necessarie, date le carenze dimostrate dai soggetti pubblici nella quasi totalità delle opere e delle operazioni finora svolte.
Nasce quindi l’esigenza di studiare forme e metodologie in grado di innovare il campo del finanziamento delle opere pubbliche, nonché quello del relativo esercizio, attraverso l’integrazione intima di interessi e di competenze tra soggetti pubblici, collettività, operatori privati, affinché si possano ottimizzare le competenze che ogni unità potrebbe offrire.
Affinché sia possibile la realizzazione di un sistema di sinergie, occorre modificare completamente il concetto ad oggi noto di intervento pubblico. La grande novità, si ritrova nella visione globale dell’opera, dallo studio preliminare o, ancor prima, dalla nascita di un’esigenza da soddisfare, fino alla realizzazione vera e propria ed alla gestione dell’opera stessa.
Descritte sommariamente le motivazioni che hanno rallentato lo sviluppo nel campo delle infrastrutture, occorre tentare di conciliare dette esigenze attraverso l'adozione di metodologie e strumenti adeguati.
La finanza di progetto, oggi, risulta lo strumento in grado di innovare radicalmente le modalità tradizionali di realizzazione di opere pubbliche.
Essa rappresenta non solo uno strumento finanziario, ma soprattutto un'impostazione culturale ed una precisa scelta politica che diviene un passaggio indispensabile per lo sviluppo del nostro Paese e la sua definitiva integrazione in una dimensione europea.
domenica 13 luglio 2008
Economia, Sanità, Energia, Sicurezza, Infrastrutture: 5 schede per ORVIETO
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