domenica 12 giugno 2011

JOHN PERKINS: Confessioni di un sicario dell'economia

(Pubblico questo articolo, anche senza aver controllato la fonte, perchè lo ritengo molto interessante.)
Il banchiere John Perkins rivela: sono stato arruolato dal governo degli Stati Uniti allo scopo di

risucchiare le ricchezze di paesi poveri. Che un banchiere intitoli le sue memorie "Confessioni di un

sicario dell'economia" è già clamoroso. Ma ciò che il banchiere John Perkins rivela nel suo libro,

"Confessions of an economic hit man" (1) è spaventoso: racconta di essere stato arruolato dal

governo Usa allo scopo di risucchiare a favore degli Stati Uniti le ricchezze di paesi poveri, e

ciò "attraverso manipolazioni economiche, tradimenti, frodi, attentati e guerre".

Le rivelazioni di Perkins gettano una luce del tutto nuova anche sulle motivazioni dell'invasione

dell'Irak. John Perkins dice di essere stato reclutato quando era ancora studente, negli anni '60, dalla

National Security Agency (NSA), l'entità più segreta degli Stati Uniti, e poi inserito dalla stessa

NSA in una ditta finanziaria privata. Lo scopo: "Per non coinvolgere il governo nel caso venissimo

colti sul fatto". Quale fatto? Abbastanza semplice.

Come capo economista della ditta privata Chas.T.Main di Boston con 2 mila impiegati, Perkins

decideva la concessione di prestiti ad altri paesi. Prestiti che dovevano essere "molto più grossi di

quel che quei paesi potessero mai ripianare: per esempio un miliardo di dollari a stati come

l'Indonesia e l'Ecuador". La condizione connessa con il prestito era che in massima parte venisse

usato per contratti con grandi imprese americane di costruzioni e infrastrutture, come la Halliburton

e la Bechtel (strutture petrolifere).

Queste ditte costruivano dunque reti elettriche, porti e strade nel paese indebitato; il denaro prestato

tornava dunque in Usa, e finiva nelle tasche delle classi privilegiate locali, che partecipavano

all'impresa. Al paese, e ai suoi poveri, restava lo schiacciante servizio del debito, il ripagamento

delle quote di capitale più gli interessi. L'Ecuador, dice Perkins, è oggi costretto a destinare oltre

metà del suo prodotto lordo - cioè di tutta la ricchezza che produce - per il servizio dei debiti

contratti con gli Usa. Ma questo è solo il primo passo. Gli Usa, indebitando quei paesi, vogliono

in realtà "renderli loro schiavi", dice Perkins. All'Ecuador, non più in grado di ripagare,

Washington chiede di cedere parti della foresta amazzonica ecuadoriana per farla sfruttare da

imprese americane. E' questa la logica imperiale.

Tra i massimi successi dei "sicari economici", Perkins rievoca l'accordo riservato fra gli Usa e la

monarchia saudita ai tempi della prima crisi petrolifera negli anni '70. Per gli Stati Uniti, era

necessario tramutare il rincaro del greggio da sciagura a opportunità. La famiglia dei Saud, del

resto, affogava nei petrodollari: le fu proposto di investirli in titoli Usa e in grandi opere. La Bechtel

(chi scrive fu in Arabia all'epoca e può testimoniarlo) ricoprì il reame desertico di nuove città e di

impianti di raffinazione per lo più inutili; la famiglia Saud accettò di mantenere il greggio entro

limiti di prezzo desiderabili per gli Usa, in cambio dell'assicurazione americana che Washington

avrebbe sostenuto il loro potere per sempre.

"E' questo il motivo primo della prima guerra all'Irak", dice Perkins, e dell'intreccio privilegiato di

affari e finanza tra i sauditi e i Bush. Secondo Perkins, gli Usa cercarono di ripetere l'accordo con

Saddam Hussein, "ma lui non c'è stato". Da qui la sua rovina. Perché, dice Perkins, "quando noi

sicari economici falliamo il bersaglio, entrano in gioco gli sciacalli. Sono gli uomini della Cia, che

cercano di fomentare un golpe; se nemmeno questo funziona, ricorrono all'assassinio. Ma nel caso

dell'Irak, gli sciacalli non sono riusciti ad arrivare a Saddam: lui aveva delle controfigure, la sua

guardia era troppo attenta. Perciò si è decisa la terza soluzione: la guerra".

Perkins ha conosciuto personalmente Omar Torrijos, il generale e dittatore di Panama degli anni

'70, morto in un incidente aereo nel '78. Torrijos fu ucciso, spiega Perkins, perché aveva stilato un

accordo coi giapponesi per la costruzione di un secondo canale di Panama, ed aveva ottenuto

dall'Onu nel 1973 una risoluzione che obbligava gli Usa a restituire alla sovranità panamense il

vecchio Canale. Le multinazionali americane "erano estremamente arrabbiate con Torrijos".

Per questo scopo, quando Reagan divenne presidente, gli furono fatti scegliere come ministri due

alti funzionari della Bechtel, Caspar Weinberger alla Difesa e George Schultz - il che rivela molto

sul ripugnante potere degli affari nella politica Usa - per costringere Torrijos con le minacce a

rompere i negoziati coi giapponesi (che stavano soffiando alla Bechtel l'affare del secolo) e di

rinnovare il trattato del Canale di Panama, riconsegnandolo agli americani. Torrijos rimase sulle sue

posizioni: furono mandati in azione gli "sciacalli".

L'aereo di Torrijos, dice Perkins, cadde per un magnetofono che era stato riempito di esplosivo. La

stessa fine di Enrico Mattei. Conclude Perkins: "il denaro che gli Usa adoperano per indebitare i

paesi poveri non è neppure denaro americano. Sono la Banca Mondiale e il Fondo Monetario

  • a fornirlo". A fornire ai poveri la corda per impiccarsi.

___________________

Note

1. "Hit man" è il sicario prezzolato, il bastonatore assoldato dalla mafia e

dalle ditte americane per picchiare gli scioperanti.

FONTE:

http://www.corsera.it/modules.php?name=News&file=article&sid=20040409156456

http://newsgroup.economia.virgilio.it/newsgroup/thread.jspa?

lunedì 6 giugno 2011

Considerazioni post-elettorali: un appello a tutti coloro che si sentono "di Destra"

‘E indubbio che le ultime elezioni amministrative abbiano deluso anche chi tra noi de La Destra sperava che l’essere rientrati nella coalizione di centro destra avrebbe costituito la medicina buona per farci improvvisamente assurgere a più alti livelli di consenso. Tralasciamo ogni considerazione sui candidati sbagliati, o scelti solo all’ultimo minuto, sui Sindaci che hanno amministrato male e non potevano sperare in una rielezione, o sulle alleanze decise solo all’ultimo minuto, per fermarci al dato evidente: il centro destra esce, per la prima volta dal 2008, sconfitto da una elezione. Il nostro risultato non poteva non risentire dell’andamento generale, non perché fosse sbagliata la nostra posizione politica “di destra”, bensì per altri motivi. Non avendo ancora una solida struttura organizzativa, nel momento in cui il voto d’opinione dal centrodestra si sposta verso il centrosinistra è ovvio che non potevamo intercettare il voto d’opinione; così come l’essere rientrati nell’alleanza con Berlusconi nel momento in cui l’astro di Berlusconi sembra cominciare ad oscurarsi, non poteva certo favorirci.
Ciò non toglie che abbiamo fatto bene ad uscire da Alleanza Nazionale quando Fini stava per scioglierla nel PdL, così come abbiamo fatto bene, Come partito La Destra, a perseguire l’alleanza con il PdL.


Ma oggi, che il Berlusconismo sembra iniziare la sua fase calante, che fare? (storico interrogativo di leniniana memoria).

Potrebbe essere affascinante perseguire la cosiddetta “unità d’area”, ma, non solo l’esperienza mi racconta delle difficoltà sopratutto a livello periferico che si incontrano, a volte anche solo per interloquire con gli amici della Fiamma o con quelli di Forza Nuova (anche se esistono casi, pochi, in cui invece si realizzano ottime collaborazioni), ma ritengo riduttiva una simile prospettiva, in quanto ritengo che in Italia una forza di destra, nazionale, popolare e sociale può aspirare, come in altri Paesi europei (dalla Francia alla Finlandia, alla Svezia, all’Ungheria) a raggiungere il 20 % dei consensi.

Peraltro anche il rincorrere generali senza eserciti, ma con vaste e variegate clientele, come potrebbe essere il richiamo a questo o a quel personaggio ex-A.N., non ci porterebbe più lontano. Il nostro appello va invece rivolto a tutti coloro che, avendo votato PdL o Lega negli anni passati, si sentono ancora profondamente di destra, perché credono ancora nei valori tradizionali della destra, e cioè: Legalità, Ordine, senso dello Stato, come appartenenza ad una Comunità che, essendo Nazionale, è per questo, anche solidale;

dobbiamo riuscire a farci capire dai giovani che non trovano lavoro e pensano di non aver più futuro, dalle donne che, avendo avuto un figlio hanno dovuto abbandonare il posto di lavoro, dai due milioni di anziani che vivono con meno di 500 Euro al mese, da chi un lavoro non ce lo ha e da chi lo ha perso, dal piccolo imprenditore strozzato dalle banche e da un fisco sempre più ottuso, per trasmettere il nostro messaggio di solidarietà tra le generazioni, tra i territori, tra i ceti sociali, per chiedere:

-riduzione consistente delle imposte e semplificazione burocratica per chi ha redditi inferiori a 60.000 €. l’anno;

-tutela delle produzioni italiane, incentivi e meno tasse per chi assume e per chi trasforma contratti precari in contratti a tempo indeterminato, lotta a chi esporta capitali e delocalizza imprese;

- aumento degli assegni familiari per i minori a carico e incentivi economici alle famiglie che assistono in casa un disabile o un anziano non autosufficiente;

-riaffermare il prevalere della dimensione politica su quella economica, per indirizzare a fini di benessere sociale l’impresa, anche in vista di ulteriori necessarie liberalizzazioni, che eliminino tutti i monopoli, sia pubblici che privati;

-riforma presidenzialista dello Stato, per riaffermare il prevalere della legalità e della trasparenza e ridurre i costi della politica abolendo il bicameralismo e riducendo il numero dei parlamentari.

Prendiamo il posto in Italia degli “indignados” delle piazze spagnole. Abbiamo ancora un sogno da trasmettere alle nuove generazioni.
                                                                                      Aldo Rovito

Alessandria:La Destra esce dalla maggioranza e l'anno prossimo Claudio Prigione sarà candidato Sindaco

Si è tenuta stamattina nella Sala del Consiglio Comunale di Alessandria la preannunciata Conferenza stampa dei consiglieri de La Destra, Claudio Prigione e Aldo Rovito.


In apertura, il Capogruppo Claudio Prigione ha letto la dichiarazione con la quale i due Consiglieri hanno annunciato l’uscita dalla maggioranza.

Successivamente, il Consigliere Rovito, anche come Segretario Provinciale de La Destra, ha annunciato che l’anno prossimo La Destra presenterà come proprio candidato Sindaco il collega Claudio Prigione (imprenditore, mandrogno doc, è di Litta Parodi, era stato eletto quattro anni fa nella lista di Forza Italia, con una ottima dote di preferenze). La candidatura di Claudio Prgione sarà sostenuta anche da due liste civiche.

Dichiarazione dei Consiglieri Prigione e Rovito


Sono passati ormai quattro anni dalle elezioni comunali in cui il centro-destra è risultato vincitore. In questo periodo io e il collega Rovito siamo usciti dal partiti in cui eravamo stato eletti, Forza Italia e AN, confluiti poi nel PDL, perché non credevamo in quel progetto (e gli avvenimenti degli ultimi mesi pare ci stiano dando ragione) ed entrammo a far parte de La Destra di Storace. Crediamo sempre più di aver fatto una buona scelta che rispecchia i nostri sentimenti e idee politiche per la grande importanza che viene data in questo partito al sociale, alla meritocrazia, alla storia, agli italiani protagonisti in Patria.

Avevamo sottoscritto, sia io che Rovito, nel 2007 il programma di governo per i cinque anni.

Abbiamo atteso, lungamente, che venisse attuato, che venissero evitati gli sprechi, le consulenze inutili, gli incarichi a persone non meritevoli, tutto quello che la politica purtroppo fa a spese del cittadino contribuente, fatti che si evidenziarono da subito.

Abbiamo atteso che Alessandria diventasse finalmente sicura, ordinata, pulita, vivibile dagli anziani, attraente per i giovani, invece nonostante qualche piccolo sforzo è rimasta la solita città grigia forse con qualche fiore in più anche se maltenuto.

Non possiamo e non vogliamo essere assimilati ancora a tale gestione della città.

A livello nazionale confermiamo fermamente la nostra appartenenza al centro destra, ma dichiariamo oggi di volerci staccare dalla gestione locale, uscire dalla maggioranza.

Recentemente in occasione dell’approvazione del bilancio consuntivo pur esprimendo forti dubbi sulla gestione cittadina, abbiamo ancora una volta dato un voto politico che, in periodo elettorale, voleva dimostrare la nostra appartenenza alla coalizione nazionale di governo.

D’ora in poi voteremo in consiglio comunale secondo il nostro giudizio su ogni singolo argomento, proiettati verso la nostra futura visione di Alessandria: sicura, pulita, ordinata, luminosa, vivibilissima, con grande attenzione al commercio, risorsa importante della Città, all’artigianato ed a tutte le attività economiche locali.

Siamo consapevoli che le risorse economiche dei Comuni sono scarse, che lo saranno ancora di più nei prossimi anni, e che non si può ulteriormente elevare il livello delle imposte e delle tariffe: proprio per questo bisogna evitare gli sprechi, le consulenze inutili, il proliferare di aziende, e i piani fantasiosi.



Claudio Prigione Aldo Rovito

domenica 5 giugno 2011

Fondazione CrA al bivio, tra logiche localistiche e ambizioni nazionali

Nel regno di Palenzona si confrontano posizioni divergenti sul futuro dell’ente mandrogno: a partire dalla collocazione del principale asset bancario, promesso in dote ai milanesi. Ma il matrimonio non funziona.
La Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria rappresenta un caso singolare all’interno del panorama delle istituzioni ex bancarie minori, solo per dimensione, della regione. Questa particolarità non va cercata nel rapporto che l’ente alessandrino intrattiene con il territorio di riferimento ma in alcune particolarità statutarie, nella presenza tra i vertici di nomi “eccellenti” anche per lo scenario nazionale e per la passata e attuale gestione dell’attivo patrimoniale più importante della Fondazione, rappresentato dall’omonima cassa di risparmio, che ha fatto storcere il naso a più d’un osservatore.

Il sostegno allo sviluppo economico e sociale del territorio da parte della Fondazione CR Alessandria non manca. Sotto l’attenta guida del Consiglio Generale e del presidente Grand’Ufficiale Pier Angelo Taverna, la Fondazione alessandrina spende, come riporta il bilancio 2009, l’ultimo disponibile, oltre sei milioni di euro in progetti destinati allo sviluppo dei settori rilevanti. Il 45 per cento del totale, pari a oltre 2.700.000 euro, è indirizzato a progetti nel settore dell’arte e dei beni culturali; il 17 per cento – poco oltre il milione di euro – allo sviluppo locale e all’edilizia popolare. Cifre di poco inferiori al milione di euro finanziano progetti per l’educazione e l’istruzione, la salute pubblica e la medicina. In analogia alla consorella astigiana, anche nel caso di Alessandria destano qualche perplessità i soli 190.000 euro devoluti alla ricerca scientifica e tecnologica: l’importante settore ottiene solo il tre per cento del monte finanziamenti.

Forse a causa della maggiore risonanza storica che la città di Alessandria ha avuto nei secoli passati e della centralità geografica all’interno dell’ormai scomparso triangolo industriale, la Fondazione non si limita a svolgere la propria attività in provincia ma, come recita lo Statuto, opera prevalentemente nel territorio della regione. Inoltre, nel caso di interventi ad alto contenuto sociale, purché riconducibili ai settori di cui sopra, può operare anche al di fuori del territorio nazionale, direttamente o in partnership con altri organismi nazionali o internazionali. L’esempio più attinente è rappresentato dalla partecipazione all’Associazione The World Political Forum, fondata dall’ultimo premier dell’Unione Sovietica Gorbaciov, il cui scopo è di favorire i contatti tra gli scienziati della politica.

Nel momento di scrivere le regole di assegnazione delle cariche societarie, lo Statuto dimentica la vocazione regionale o internazionale e conferma lo stretto legame con il territorio. Coloro che sono chiamati a dettare la strategia di gestione della Fondazione sono i quindici componenti del Consiglio Generale, dei quali due sono designati dal Prefetto di Alessandria, altri due dalla Provincia e tre dal Comune. Anche la curia alessandrina ha voce in capitolo: infatti il Vescovo di Alessandria invia un suo rappresentante in Consiglio. Gli otto consiglieri designati dagli enti e forze sociali locali hanno il potere di nominare altri sette consiglieri, cha devono essere scelti tra personalità di chiara e indiscussa fama e competenza. I componenti del Consiglio Generale durano in carica sei esercizi e nominano i componenti del Consiglio di amministrazione della Fondazione, che riveste grande importanza in quanto ha le chiavi della gestione ordinaria dell’istituto. Oltre alla presenza di Taverna, presidente anche del Consiglio di amministrazione, spicca il nome di Fabrizio Palenzona, che dopo essere stato sindaco di Tortona e presidente della provincia di Alessandria, si è lanciato nel mondo dell’alta finanza, ove attualmente riveste le cariche di vicepresidente Unicredit, presidente di Gemina, dell’Associazione concessionarie autostradali, Aeroporti di Roma e, dulcis in fundo, consigliere di amministrazione di Mediobanca.

Come anticipato, risulta particolarmente contrastato il rapporto tra la Fondazione e la banca da cui fu scorporata nel 1991 per effetto della legge Amato, la Cassa di risparmio di Alessandria, che ne rappresenta, forse ancora per poco tempo, l’asset più importante. A fine 1994, Alessandria precorre i tempi e decide di dare il via alle alleanze bancarie tra Piemonte e Lombardia, che quasi mai hanno portato buone notizie per il territorio regionale. La Fondazione CR Alessandria conferisce il cinquantuno per cento delle azioni della banca in Carinord, holding creata insieme all’ex Cassa di risparmio delle provincie lombarde (Cariplo), che detiene la maggioranza azionaria della nuova società, alla Fondazione CR Spezia e alla Fondazione CR Carrara, che conferiscono le loro casse di risparmio. La finanziaria avrebbe dovuto avere il ruolo, nella salvaguardia dell’identità di ogni singola azienda, di programmare e coordinare le attività svolte dalle partecipate, al fine di promuoverne la competitività e i risultati economici e finanziari. Le Fondazioni minori rispetto alla Cariplo, ritenevano che la via dell’aggregazione fosse obbligata, in analogia al comportamento di tante altre banche a quei tempi, ma non hanno mai creduto fino in fondo all’opportunità: in quest’ottica trova la sua motivazione il venti per cento della Cassa di Alessandria che la Fondazione mantiene sui libri contabili. Non tutte le componenti della Fondazione erano d’accordo con l’operazione: nel 1994 il professore Maurizio Cavallari, consigliere della Fondazione, l’assessore comunale Marco Melchiorre e alcuni consiglieri comunali di Alessandria (Andrea Ferrari, Pietro Caramello, Aldo Rovito, Carlo Vergagni e Gabrio Secco) presentarono un ricorso al Ministro del Tesoro in carica, Lamberto Dini, per fare invalidare la delibera di confluenza. In particolare, Cavallari affermò che al momento della delibera del Consiglio, allora presieduto da Gianfranco Pittatore, che diede il via libera al progetto “Carinord”, lui era assente e quindi non ha potuto esprimere il suo voto in qualità di “consigliere incaricato della tutela del patrimonio”. La delibera di adesione a Carinord fu avallata dal ministero e il ricorso respinto in quanto “non è presente il rischio di dispersione del patrimonio”. Il ricorso non fece piacere a Pittatore e agli altri consiglieri che chiesero un risarcimento a Cavallari pari a un miliardo e mezzo di vecchie lire. In effetti un minimo effetto di dispersione del patrimonio si ebbe a causa dell’intervento dell’antitrust e di Banca d’Italia che obbligarono Carinord allo stop quinquennale di nuovi insediamenti di sportelli. Cavallari non era il solo a temere gli effetti dell’operazione Carinord: più o meno nel medesimo periodo temporale anche il presidente della provincia di Massa Carrara Franco Gussoni, quello della locale Camera di Commercio, Giuseppe Tramonti e tre consiglieri della Fondazione Cassa di Carrara, presentarono richiesta di annullamento della delibera di confluenza, ottenendo il medesimo rifiuto ministeriale.

Il progetto non portò i frutti economici e patrimoniali attesi e nel 2003, Banca Intesa, che aveva incorporato Cariplo, vende con molto piacere l’ottanta per cento di Cassa di risparmio di Alessandria alla Banca Popolare di Milano. La Fondazione mandrogna, oltre a mantenere il venti per cento della Cassa, ottiene il 7,3 per cento del capitale della banca milanese, una della maggiori in Italia. Trascorre un anno e la Fondazione, forse per esigenze di cassa, diminuisce la quota detenuta in BPM al due per cento. Manovra miope, anche se con alta probabilità necessaria, perché diminuisce le possibilità di far sentire la propria voce in Consiglio di amministrazione. In conseguenza, dopo aver investito cifre cospicue per mettere a posto la Cassa di Risparmio di Alessandria, gravata da eccessivi rischi e crediti di dubbia esigibilità, la BPM, anch’essa in acque poco tranquille, decide di integrare al suo interno le banche minori per conseguire risparmi di costi. Il piano industriale della banca milanese prevede l’integrazione in due tempi di Cassa di Alessandria entro il 2011. La Fondazione ha deciso di ostacolare i piani di BPM perché non vuole che la sua quota sia diluita in conseguenza dell’incorporazione, ma l’unico risultato conseguito ha visto le dimissioni del consigliere in BPM in quota Fondazione, Francesco Bianchi, per dissidi tra l’operato di quest’ultimo e il mandato che gli aveva affidato l’istituto alessandrino.

La Fondazione CR Alessandria rivolse i suoi interessi oltre provincia, a differenza di altre consorelle quale la Fondazione CR Asti, e ha usato come carta da visita il suo gioiello di famiglia. La via intrapresa non ha portato i frutti sperati per due motivi: il peso specifico che la Cariplo, una della più importanti banche nazionali, rappresentava, e la scarsa fiducia che alcune componenti locali hanno sempre riposto nell’operazione. La conclusione della vicenda, con ampia probabilità, priverà il territorio alessandrino e la regione di un marchio conosciuto e necessario al territorio.
(Da Lo Spiffero del 25 Maggio 2011 - http://www.lospiffero.com/)

sabato 4 giugno 2011

Fassino a Consorte: aspetta a denunciare

Fassino a Consorte: aspetta a denunciare
L’ex ad: «In realtà abbiamo già in mano il 51 per cento»
Gianluigi Nuzzi da Milano
Per portare Unipol e le coop rosse al comando di Bnl, nei momenti decisivi della scalata Gianni Consorte potè contare su «coperture politiche», salde alleanze con i vertici dei Ds, assai interessati ai destini della banca e quindi partecipi. Lo si capisce dalla telefonata intercettata tra Consorte e Piero Fassino, segretario dei Ds, anticipata sabato scorso da Il Giornale e di cui oggi siamo in grado di fornire ulteriori elementi. Ma lo si evince anche dal brogliaccio delle intercettazioni, come quella del 18 luglio con il vice direttore de L’Unità Rinaldo Gianola. Ecco il sunto dal brogliaccio: «Gianni dice che lui ha la maggioranza (di Bnl, ndr), dice di non aver fatto una mossa senza preavvertire la Consob. Rinaldo chiede se Abete ha fatto ”delle porcate“ a favore di Della Valle e degli altri, Gianni dice che si troveranno dei grandi scheletri. Gianni dice che intanto lui inizia a far partire le denunce verso chi l’ha calunniato. Rinaldo chiede se sul fronte politico, Fassino e gli altri, lui sia coperto. Gianni dice sì». La liaison con gli esponenti dei Ds, le coperture emergono in tutta la loro consistenza anche dagli appuntamenti o dalle telefonate intercettate dell’allora presidente di Unipol con esponenti di primo piano della Quercia: D’Alema, Fassino, il tesoriere Sposetti. In particolare, i colloqui registrati sul telefonino di Consorte con Fassino sono cinque per oltre venti minuti complessivi di dialogo. La telefonata della svolta dovrebbe essere quella del 18 luglio. In mattinata, alle 12, Unipol comunica al mercato che, sciolto il cosiddetto contropatto degli immobiliaristi, si prepara a lanciare un’Opa obbligatoria su Bnl in contanti a 2,7 euro. L’Ansa lancia la notizia alle 12.21. Dopo un’ora Consorte si dedica ai suoi rapporti politici. Prima si sente tre volte con il senatore dei Ds Latorre, già assistente di Massimo D’Alema, poi chiama Fassino, che tra l’altro aveva sentito proprio la sera prima alle 23.30. Entrambi sembrano soddisfatti con un Fassino insolitamente diretto: «E allora siamo padroni di una banca?», si lascia scappare e Consorte: «È chiusa, sì, è fatta». Il segretario dei Ds mostra un attimo d’esitazione. Capisce di essersi mostrato troppo euforico al telefono e allora preferisce correggersi: «Siete voi i padroni della banca, io non c’entro niente». Consorte: «Sì, sì è fatta, è stata una vicenda, credimi, davvero durissima... però sai... (parola incomprensibile, ndr)». E Fassino che conviene: «Già, ormai è proprio fatta».
FASSINO, BNL E LE COOP
Il segretario dei Ds vuol però capire bene come verrà gestito il passaggio di quote dal contropatto agli alleati di Unipol. E se c’è certezza del controllo della banca. A Consorte chiede il quadro della situazione: «Alla fine emerge - spiega Consorte - che abbiamo diciamo quattro coop...». Fassino: «E quanto prendono?» Consorte: «Quattro cooperative il 4 per cento». Fassino ancora non conosce i dettagli delle quote che verranno cedute e chiede se il 4 per cento sia per ciascuna cooperativa. Consorte: «No, no, no. L’uno per cento l’una». E Fassino ripete: «Uno per cento per quattro». Consorte: «Proprio così». Fassino: «Queste cooperative che poi sono Adriatica, Liguria, Piemonte e Modena ». Consorte: «Poi ci sono quattro istituti di credito italiani che sono al 12%. Infine banche estere come Nomura, Credit Suisse e Deutsche Bank che hanno l’un per cento, l’altra circa il 14,5». E Fassino attento che ripete: «14 e mezzo». Consorte: «Sì, poi c’è anche Gnutti e Hopa... il 4,99%. Marcellino Gavio e Pascotto... all’1 e mezzo». Fassino sembra come prendere nota: «Insieme?». Consorte: «Certo, e poi Unipol chiude al 15%».
«IMMOBILIARISTI FUORI»
C’è da festeggiare. Consorte indicati i prossimi soci, elenca le conquiste portate a casa. Primo: «Gli immobiliaristi sono totalmente fuori». Ma Fassino interrompe, pensa al futuro: «Tu ora che operazione fai dopo questo?». E Consorte annuncia il lancio dell’Opa, all’epoca previsto per settembre. Fassino sorpreso: «Hai già lanciato l’Opa obbligatoria?». Consorte: «Già, proprio al medesimo prezzo delle cessioni delle azioni degli immobiliaristi». Fassino: «2,7 euro?». Consorte: «Via ogni speculazione, sono trattati tutti uguali. Per legge potevamo fare a 2,55». Fassino: «Bbva cosa offre?» Consorte. «2,52 in azioni, noi offriamo in instant cash». Fassino: «Cazzo». Poi Consorte svela il piano: «In realtà noi abbiamo già in mano il 51%», ovvero la maggioranza ancor prima del lancio dell’Opa. Fassino vuol capire meglio e chiede: «Noi abbiamo il 15 più 4 delle Coop fa il 19 a noi, e come arrivi al 51 tu?». Consorte lo tranquillizza: «Con le banche più...». E il segretario: «Ah sì, questa somma qui, fa il 51 certo». Consorte si mostra ancor più chiaro: «Quelle aziende ci hanno rilasciato un diritto a comprare i loro titoli dietro nostra semplice richiesta se dall’Opa non dovessero arrivare azioni». Fassino: «Ho capito». Consorte: «Quindi noi come Unipol prendiamo comunque il 51». Fassino. «Ho capito». Consorte: «Se invece dall’Opa ci arrivano le azioni, quelli se le tengono». Fassino: «Se tu arrivi al 51 in altro modo loro si tengono quello». Unipol ha già conquistato Bnl: basta lanciare l’Opa con l’ok di Bankitalia. Un bel colpo dell’ingegnere, un’operazione «che nessuno aveva né immaginato né pensato».
I COMPAGNI PARVENU
Ma bloccare la strada agli spagnoli può esser letto come un’azione a difesa degli interessi italiani. Nessun problema: «Abbiamo zittito i parvenu - gongola Consorte - quelli che sostenevano che era un’azione nazionalistica. Eh... ci sono tre banche internazionali: Nomura, quarta nel mondo, Suisse è tra le prime in Europa». Anche qui Fassino guarda più i profili concreti e chiede: «Possibili ricorsi in sede giudiziaria?» temendo magari la via crucis dei lodigiani nella scalata Antonveneta. Consorte ancora tranquillizza: «Noi ad oggi non ne vediamo neanche uno...». Il segretario Ds non si convince, teme qualche ricorso: «Cioè il fatto - riflette - che contestualmente siano avvenute tutte queste cessioni...». Ma Consorte si mostra strasicuro: «Questo è il concerto fra gli alleati con le quote già in mano. Poi l’Opa senza penalizzare nessuno». E Fassino «Bene, bene».
L’ORA DELLA RIVINCITA
Con il 51% già in tasca Consorte vuole qualche rivincita e medita di «denunciare uno per uno» tutti quelli che l’hanno osteggiato con accuse per lui infondate. Ma Fassino pragmatico gli dà consigli, gli indica come muoversi. Lo frena pensando agli obiettivi più importanti da raggiungere: «Prima di denunciare - lo esorta - aspetta. Prima portiamo a casa tutto». Poi con Bnl sotto l’ombrello Unipol se ne riparlerà. Anche perché siamo solo agli inizi. Per Fassino gli imprenditori che sostengono il Bbva «ora si scateneranno ancora di più. Ieri hai visto il... No, ieri non l’hai visto, hai lavorato tutto il giorno. Ieri il Sole ha fatto un’intera pagina contro di me». Per Consorte al foglio della Confindustria guardano la scalata di Unipol in chiave solamente politica: «Questi dicono: cazzo, adesso i Ds, oltre ad avere il mondo delle coop, Unipol, oltre ad avere il Monte dei Paschi, che non è così, hanno anche la banca Bnl. Il ragionamento demenziale che fanno è questo qui».
«COMPORTATEVI BENE»
A Fassino pare importare poco. Insiste invece perché Consorte rimanga concentrato sugli obiettivi. Bisogna portare a casa tutto. E lo stimola: «Va bene e intanto noi lavoriamo, ma perché poi demenziale?». Consorte: «No, noi sosterremo che è demenziale». Fassino ritiene più importante indicare la propria linea politica, e suggerisce come «comunicare» la svolta: «Voi avete fatto un’operazione di mercato, quello che ho sempre sostenuto io. Industriale». Consorte recepisce al volo: «Industriale e di mercato». Fassino: «Esatto, ora dovete comportarvi bene. Preoccupatevi bene di come comunicate in positivo il piano industriale». Il segretario esita tra il «noi» e il «voi»: «Perché il problema adesso è dimostrare che noi abbiamo... che voi avete un piano industriale». Consorte: «No, ma noi l’abbiamo veramente!». E Fassino laconico: «Eh lo so, bisogna farlo».
SALVARE L’IMMAGINE
Serve concordare un piano di comunicazione su questa operazione. Da diffondere come «di mercato e industriale». Allontanando ogni illazione su interessi politici. Fassino: «Fino adesso stanno utilizzando l’idea che era soltanto un problema di accaparrarsi la banca e poi però non sanno cosa farne, non è così». Consorte invece, suggerisce una linea più aggressiva: «Noi invece sosterremo questa tesi: che loro la banca la stavano svendendo». Il segretario è d’accordo. «E anche - incalza l’allora presidente di Unipol - che l’hanno gestita coi piedi deve finire. Lo dirò fra quattro o cinque mesi quando avrò visto dentro. Io adesso dico che era un’operazione che stava svendendo, visti i valori proposti dalla Bbva, la banca agli spagnoli, svuotandola di contenuti perché come tutte le banche, avrebbe portato via tutte le attività qualificate a Madrid e avrebbero ridotto la Bnl a una rete. Con noi invece la banca rimarrà a Roma, gli portiamo un milione di clienti, poi facciamo diventare Unipol una delle prime quattro banche italiane». Fassino non ha nulla da obiettare: «Bene». Il manager: «E dopo ci confrontiamo». Fassino di nuovo: «Bene». E Consorte è rincuorato: «Bene, ero sicuro che si poteva parlare. Grazie». Fassino: «Bene, vediamoci presto ti chiamo per fissare in settimana».

venerdì 3 giugno 2011

I giovani e la politica

Ho passato quasi tutta la giornata di sabato scorso ad assistere al convegno “Confronto, Libertà, Partecipazione 2011”, organizzato dai movimenti giovanili di PdL, PD, UDC, IDV e Lega Nord, con il contributo di Regione, Provincia, Comuni di Alessandria, Acqui Terme, Casale, Novi,Ovada, Tortona, Valenza.

Al di la dello (scarso) numero dei partecipanti (qualche decina?), quello che mi ha colpito in negativo è stata la qualità degli interventi. Per carità, tutti bravi ragazzi, corretti, educati, alcuni anche ben preparati sull’argomento trattato, ma........

Il dibattito è stato molto educato, le diverse posizioni sono state esposte in modo corretto, nessuno ha urlato o interrotto per sopraffare chi esponeva una >tesi diversa o contraria. Anche gli applausi sono stati equamente attribuiti a tutti, salvo che al pomeriggio, ove nella tavola rotonda con i “grandi” si è vista la presenza delle “tifoserie”, ma…..

Ma è che da giovani di venti – ventiquattro anni mi sarei aspettato qualcosa >di molto, molto diverso, da una critica o da una difesa della riforma Gelmini, o da una richiesta di maggiori interventi degli Enti Locali per le sedi universitarie alessandrine, cioè dalla ripetizione di tesi e argomenti già svolti nei partiti dai “grandi”.

Non voglio ripensare alle motivazioni per le quali un giovane della mia >generazione è entrato in politica (accennerò, per quel che mi riguarda a un solo episodio: 1956: invasione dell’Ungheria, manifestazioni di piazza, cariche della "celere"), ma, con quello che succede oggi in Italia, ascoltare dei bravi ragazzi che discutono molto correttamente su argomenti anche importanti di politica scolastica o di equilibrio fra i poteri o di politica estera, in modo così educato da costituire certo un buon esempio per gli adulti che si azzannano invece nei dibattiti televisivi, non credo che possa essere trainante per altri giovani.

Oggi in Italia, dove tra i giovani di età compresa tra i 16 e i 29 anni solo uno su quattro trova un lavoro, dove 800.000 donne in dieci anni avendo avuto un figlio, si son viste costrette a lasciare il lavoro, dove 2 Milioni di anziani son costretti a vivere con meno di 500 Euro al mese,dove la corruzione dilaga ad ogni livello, dove le varie mafie conquistano spazi anche nel Nord opulento e operoso, i giovani dovrebbero indignarsi, scendere in piazza, come è accaduto in Tunisia, in Egitto, in Siria ed ora anche in Spagna, paesi nei >quali i giovani si son messi alla testa di una protesta pacifica contro la corruzione, la emarginazione economica e sociale. E in Italia? Che alla guida della protesta debbano mettercisi le “pantere grigie” visto che i giovani invece di contrapporsi ai loro padri, sembrano le loro fotocopie sbiadite ?

C’E UN MOSTRO IN VIA PLANA. IL SINDACO NE ORDINI L’ABBATTIMENTO

Ecco il testo dell'interrogazione con la quale, come Consigliere Comunale de LA Destra ho chiesto la immediata rimozione del "mostruoso" dehors installato in via Plana.
INTERROGAZIONE
Oggetto: Mostruoso dehors in via Plana
Il sottoscritto Consigliere Comunale,
premesso
-che da qualche settimana è stato installato in via Plana un “dehors”, il quale, oltre a violare apparentemente tutte le norma del regolamento comunale >in materia approvato con delibera consiliare n. 44/95/269 del 20.05.2009, soprattutto in tema di composizione e copertura del dehors, divieto di ostacolo alla libera circolazione dei pedoni sul marciapiede, obbligo di distanza dai balconi, rispetto delle norme sull’abbattimento delle barriere architettoniche, risulta elemento di terrificante bruttezza, completamente avulso dall’ambiente circostante;
INTERROGA
Il Signor Sindaco e/o il competente Assessore, per conoscere:
- Il nominativo del Funzionario Responsabile dell’Ufficio per la Diffusione della Bruttezza che ha autorizzato l’installazione del manufatto ed il tempo >entro il quale intenda ordinarne la immediata rimozione.
Alessandria 26 Maggio 2011
Il Consigliere Comunale Aldo Rovito

UN'OCCASIONE PERDUTA

Martedì scorso, si sono svolte le prove di quello che nei prossimi mesi potrebbe essere il leit motif della vita politica cittadina: l’intensificarsi nella nostra Città del tentativo di trasformare la dialettica politica anche vivace nel trionfo della più vieta demagogia.
Era stata convocata nella sala del consiglio comunale la Commissione Consiliare “Territorio” per esaminare la relazione predisposta da un tecnico (geologo) incaricato dal Comune, sulla situazione idrogeologica delle aree collinari della nostra Città.
Era stata convocata appositamente per le ore 21 (un orario insolito) proprio per consentire al Comitato di Valle San Bartolomeo e ai cittadini interessati di assistere alla seduta e di ascoltare direttamente dai tecnici i risultati della ricerca.
Purtroppo, i cittadini, arrivati in Piazza Libertà, sono stati indotti ad ascoltare le arringhe dell’emulo di de Magistris, il nuovo Masaniello in salsa “mandrogna”, il consigliere Bellotti e a disertare i lavori della Commissione.
Non possiamo non esprimere il nostro disappunto: è stata persa una occasione importante perché il Comitato e gli abitanti delle zone collinari venissero a conoscenza di un importante strumento di cui l’Amministrazione si è dotata per salvaguardare il territorio collinare dai rischi del dissesto idrogeologico e potessero magari rendersi conto della volontà dell’amministrazione di intervenire.
Peccato! Ci faremo carico noi de La Destra di portare a conoscenza dei cittadini i risultati della relazione tecnica, di ascoltare le loro proposte e di portarle in Consiglio.
Claudio Prigione
Aldo Rovito